BUON SENSO VIRTUALE. Hanno dovuto chiudere il «forum» sul sito di Marco Pantani, sono stati costretti a chiedere un po’ di rispetto e di buon senso dopo un mese di rivelazioni e interpretazioni di ogni tipo. Non ai giornalisti - anche se uno, sempre molto attento alle questioni sul doping, diciamo attento solo a questioni legate al doping, non si è fatto sfuggire l’occasione di fare i suoi editoriali e pistolotti anche agli aficionados del Pirata -. Non ai giornalisti, che da che mondo è mondo sono colpevoli di mille e più nefandezze, ma ai cittadini che grazie a internet, adesso possono scrivere e dare sfogo (a quando una vera regolamentazione e tutela di quello che va in rete?) ai loro ragionamenti.
Bastava dare un’occhiata in quei giorni tristi per capire - se ce n’era ancora bisogno - di che razza è fatta l’umanità. Nessun giornale, nessun giornalista, nemmeno il più cinico e affamato cacciatore di scoop sarebbe potuto arrivare a tanto. Da una parte i super tifosi, gli ultrà in bandana, dall’altra gli accusatori travestiti da sciacalli. Uno spettacolo raccapricciante, che è stato finalmente interrotto per volontà della famiglia.
Davanti alla tragedia dell’uomo, avrebbe dovuto prevalere il silenzio. Ne meritava il giusto, il povero Marco: non ha avuto nemmeno quello. Neppure da chi nel suo sito internet, teatro virtuale della celebrazione funesta, si è premurato di spedire il virus del sospetto, della cattiveria, della polemica: si può dibattere fin che si vuole su doping e altro, ma farlo in casa del caro estinto è perlomeno di cattivo gusto. Per questo la famiglia di Marco, attraverso il club ufficiale dei tifosi, lo scorso 13 marzo, ha chiesto il silenzio. Ma come è triste doverlo chiedere, per piacere. Come è grottesco il desiderio di poter trascorrere un soggiorno nel bilocale di Rimini dove il corpo senza vita del ciclista più amato d’Italia è stato ritrovato la sera di San Valentino. Al turismo macabro la direzione del residence «Le Rose» ha semplicemente opposto il buon gusto: l’ordine di non affittare quella stanza, alla quale i sigilli del sequestro giudiziario sono stati tolti solo qualche settimana fa. E che dire della caccia alle fotografie del cadavere di Pantani, che il pm Paolo Gengarelli, titolare dell’inchiesta, assicura non essercene, ma che molti giornali sono già pronti ad acquistare a peso d’oro. Che triste dover assistere a queste azioni di puro sciacallaggio, a questo festival del cattivo gusto, che ci procura il voltastomaco e ci induce a voltar pagina.
MAURIZIO COSTANZO CHOC. Poteva essere, doveva essere un’opportunità per il ciclismo, invece la presenza di Gian Carlo Ceruti al «Maurizio Costanzo Show» del 19 marzo scorso è stata a dir poco imbarazzante: per noi, per lui, per quanti hanno a cuore questo sport.
Sappiamo che la sua presenza era stata concordata con il presidente del Coni Gianni Petrucci, invitato a Milano al Forum del ciclismo e poco disposto a presenziare a Roma ad un incontro dove era segnalata la presenza di Sandro Donati.
Ceruti avrebbe dovuto smontare il teorema di Donati e Mei, del «doping di Stato», lasciando che Costanzo e Flavio Venditti, il collega specializzato in inchieste sul doping, dicessero con assoluta approssimazione quello che volevano. Passando da Pantani a Zanette, proseguendo con Conconi e Ferrara, e avvalendosi di un trafficante di nome Willi Voet (massaggiatore passato agli onori delle cronache per il caso Festina), che dopo aver contribuito per 30 anni a avvelenare il ciclismo e i ciclisti con i suoi intrugli, adesso va in giro per il mondo a fare il moralizzatore anziché essere associato alla patrie galere.
«Ladri di emozioni», dice Costanzo, che parla di ciclismo morto, ciclismo da fermare. In compenso il nostro presidente si premura di precisare soltanto che «da quando ci sono io le cose sono di molto cambiate». Tocca a Mei - ex azzurro dell’atletica -, ricordare a Costanzo che «è lo sport a soffrire di questo male, di questa piaga di nome doping: non è solo un problema del ciclismo». Insomma, Ceruti in pratica infastidisce non per quello che dice, ma per quello che non ha detto. Fa scena muta. Due parole in politichese che a quasi mezzanotte si rendono incomprensibili e inaccessibili ai più. Sta lì, a farsi fare la morale da una personcina che in passato non ha indugiato a cercare le scorciatoie, esattamente come i corridori, gli sportivi «ladri di emozioni», per snellire e agevolare la sua carriera con una tesserina numero 1819 in tasca: quella della loggia P2, alla quale aderì fin dall’anno 1978.
Complimenti a Costanzo, al quale sta a cuore la sorte dello sport italiano, ma in pratica punta l’indice solo e soltanto sul ciclismo. Quando inviterà al Teatro Parioli l’amministratore delegato della Juventus Giraudo per farsi spiegare perché mai il pm Raffaele Guariniello li ha presi così di
mira? Complimenti a Venditti, che parla ancora di morti misteriose anche davanti a esami tossicologici e autoptici che hanno considerato e considerano la morte del povero Denis Zanette naturale. Complimenti a Ceruti, che ha perso una grande occasione: stare a casa.
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