2016, NEL SEGNO DI PETER

PROFESSIONISTI | 31/12/2016 | 07:31
Il numero uno, comunque la si giri, è lui. Incontrastato, inavvicinabile, inimitabile: Peter Sa­gan. Campione del mondo riconfermato, leader di ogni classifica di rendimento - tanto quella di WorldTour, destinata a scomparire dal prossimo an­no senza lasciare traccia né nostalgia, quanto di quella mondiale del­l’UCI - ma soprattutto talento che sta rivoluzionando il mondo del ciclismo.
Peter Sagan è un fenomeno straordinario, assoluto. Ve lo abbiamo raccontato anche negli ulimi due numeri di tut­to­BI­CI accompagnandovi in un viaggio alle radici di questo campione le cui dimensioni, come sempre accade quando ci si trova dinanzi ad un elemento rivoluzionario, saranno pienamente comprensibili soltanto  quando la cronaca diventerà storia.

Protagonista assoluto sin dai tempi del debutto - suo anche il record mondiale delle critiche ricevute per i mancati ri­sultati e per le vittore gettate al vento - Sagan ha letteralmente svoltato con il mondiale di Richmond.
Quello scatto in salita a pochi chilometri dal traguardo lo ha proiettato in una nuova dimensione che va oltre il pur prestigioso titolo mondiale.

Con la maglia iridata sulle spalle, Peter è subito parso un altro: più determinato, più convinto, più vincente. E so­prat­tutto più sorprendente: la sua im­prevedibilità è diventata ormai proverbiale, è capace di vincere allo sprint (ve­di al mondiale di Doha, davanti a tutti i migliori specialisti del mondo) come con un attacco da lontano (vedi Giro delle Fiandre), correndo quasi da solo, vedi sempre il mondiale, o fiancheggiato da una grande squadra, come ha fatto al Tour nella meravigliosa tap­pa di Montpellier. E la quinta maglia verde consecutiva al Tour de France - per un atleta che ha solo 26 anni - è un ulteriore sigillo di garanzia sulla grandezza di questo corridore. Che ci piacerebbe poter applaudire sulla strade del Giro d’Italia anche se sappiamo che l’ipotesi, almeno a breve tempo, è davvero improbabile.
Nel ciclismo che ancora non conosce il proprio futuro, la grande certezza è rappresentata da Peter Sagan.

I SIGNORI DEI GIRI.  Tre Grandi Giri con altrettanti grandissimi vincitori, quelli che al momento sono i migliori esponenti di questa specialità.
Chris Froome, noblesse oblige, si è con­fermato re del Tour de France: sorprendendo tutti, il britannico ha dimostrato di possedere anche doti di fantasia e di abilità tattica che finora non aveva mai mostrato. Ha sorpreso i suoi av­versari, in particolare Quintana quan­do meno se lo aspettavano (vedi la tappa di Bagnères de Luchon al Tour), ha guadagnato terreno prezioso ancora prima che iniziassero le grandi salite, ha sfruttato alla perfezione i chilometri a cronometro (se­con­do a La Caverne du Pont d’Arc e trionfatore in salita a Megève) e ha letteralmente dominato la Grande Boucle.
Ma anche Froome non è imbattibile ed è questa la certezza che ci dà la Vuelta España, ancor più della semplice vittoria di Nairo Quin­tana. In Spagna il colombiano della Movistar ha sfoderato finalmente il suo vero volto di attaccante, ha messo spesso la sua ruota davanti a quella del rivale fino a costringerlo a tentare una rimonta disperata quanto improbabile.
È vero che i verdetti della corsa spagnola sono spessso da prendere con le molle in senso assoluto - nessun big arriva mai a disputarla nelle condizioni di forma che vengono esibite al Giro o al Tour - ma di sicuro Quintana è uscito dalla corsa spagnola con una consapevolezza tutta nuova.

Infine, Vincenzo Nibali. Che a 32 anni appena compiuti non finisce mai di stupire: a 72 ore dalla fine del Giro d’Ita­lia il suo era il bilancio di uno sconfitto, poi la fantasia, la determinazione, l’altitudine e doti fisiche eccezionali gli hanno permesso di ribaltare l’esito del­la corsa rosa e di conquistare il quarto grande giro della carriera.
Dei grandissimi corridori da corse a tappe, il solo rimasto a bocca asciutta è Alberto Contador che ha fatto il pieno di sfortuna al Tour e condizionato quindi anche la Vuelta. Ma non fatevi trarre in inganno: in attesa che i giovani rampanti (Aru, Bardet, Chaves e gli Yates su tutti), arrivino alla definitiva consacrazione, anche il prossimo Con­tador - che vedremo in maglia Trek Segafredo - sarà della partita.

MONUMENTI. Se i Grandi Giri sono stati dominati dai grandi favoriti della vigilia, le classiche Monumento sono state tutte caratterizzate da vincitori che hanno timbrato la loro “prima volta”. Arnaud Demare alla Sanr­emo, Peter Sagan al Fiandre, Mat­thew Hayman alla Roubaix, Wouter Poels alla Liegi ed Esteban Chaves al Lombardia: per tutti loro si tratta del primo successo in una classica monumento. Naturalmente vittorie diverse tra loro e con significato profondamente differente. Se quella di Peter Sagan, tra l’altro ottenuta al termine di un appassionante braccio di ferro con Fa­bian Cancellara, è la vittoria della definitiva consacrazione, quella del trentottenne australiano Hayman è la classica “vittoria che vale una carriera”, ottenuta al sedicesimo assalto sul pavé con una volata inattesa al termine di una corsa da protagonista assoluto.

La Sanremo di Demare ha avuto uno strascico di polemiche per l’inatteso rientro del francese dopo una caduta e un lungo stop lungo la via Aurelia. Poels, invece, ha scritto una pagina importante perché ha regalato alla Sky la prima grande classica della sua storia. Infine Il Lombardia di Chaves, conquistato battendo con lucidità Rosa e Uran allo sprint, che consacra un astro na­scente del pedale, destinato a brillare tanto nelle prove in linea quanto so­prattutto nei grandi giri.
Clamorosamente senza vittorie in queste classiche la Etixx Quick Step, che si è riscattata almeno in parte riconquistando dopo tre anni il titolo mondiale della cronosquadre e la BMC, a sua volta consolata dal trionfo olimpico di Greg Van Avermaet, vincitore anche della Tirreno-Adriatico prima si sbriciolarsi la clavicola in una banale caduta al Fiandre.

NUMERI. I numeri dicono che la Etixx Quick Step ancora una volta è stata la squadra più vittoriosa del mondo: chiude l’anno a quota 55 davanti alla Sky, mentre nella classifica individuale è il ventinovenne belga Timothy Dupont a conquistare il titolo di plurivittorioso con 15 successi. Non accadeva dal 2007, allora era stato il norvegese Boasson Hagen che correva con la maglia del Team Maxbo Bianchi, che un corridore di una squadra Continental si laureasse plurivittoriso della stagione. Dupont, che il prossimo anno salirà di categoria visto che la belga Verandas Willems Crelan sarà Professional, ha vinto una gara di Hors Categorie, 2 di categoria .1 e 12 di categoria .2

In Italia, Lampre Merida e Androni Sidermec hanno chiuso la stagione con 19 successi a testa, uno in più della Wi­lier Southeast che si è fermata a 18. Onestà vuole che si sottolinei come i due team Professional abbiano ottenuto gran parte dei loro successi in terra ci­nese, in gare sì di categoria “.1” ma dalla start list non proprio di primissimo piano.

ITALIA.
A proposito di Italia, il numero uno di stagione - e lo abbiamo celebrato con l’assegnazione dell’Oscar tuttoBICI - è stato Diego Ulissi che ha chiuso la nono posto della classifica mondiale, ma è indubbio che il campione di riferimento dell’intero movimento resta Vincenzo Nibali. Il siciliano ha vinto alla grande il suo secondo Giro d’Italia (quarta grande corsa a tappe del suo palmares), poi è andato al Tour con l’obiettivo di preparare i Giochi di Rio, ha cercato invano una vittoria di tappa prestigiosa e poi ha visto svanire i suoi sogni olimpici in una maledetta curva in discesa, quando cominciava a gustare il sapore di una medaglia. Clavicola fratturata per lui e finale di stagione inevitabilmente condizionato: ora per lui c’è una nuova avventura, quella con il Team Bahrain Merida e una squadra nata da zero, ma il primo grande obiettivo resta lo stesso, il Giro d’Italia.

Non ha brillato come ci aspettavamo, invece, la stella di Fabio Aru: il sardo ha puntato tutto sul Tour de France, è rimasto in corsa per una posizione di prestigio fino alla penultima tappa, poi ha conosciuto una bruttisima crisi sul Col de Joux Plane, scivolando fino al tredicesimo posto finale. Era la prima esperienza di Fabio alla Grande Boucle, senz’altro ha lasciato in eredità a lui e al suo team di gestione una lezione che darà frutti in futuro.

In casa Italia, il titolo di plurivittorioso di stagione va al giovane velocista bresciano Jakub Mareczko della Wilier Southeast: dodici i suoi successi, ma ora il giovane talentino è chiamato al salto di qualità e a misurarsi con i grandi rivali sulle strade delle corse più importanti, a cominciare dal Giro d’Italia.

Tra le note liete della stagione in casa Italia, Giacomo Nizzolo e Sonny Colbrelli, entrambi capaci di vincere sette volte. Il brianzolo della Trek Se­gafredo sembra aver trovato una nuova consapevolezza dopo il successo ottenuto a  Darfo Boario nel campionato italiano, mentre il bresciano della Bar­diani Csf (che il prossimo anno affiancherà Nibali nella Bahrain Merida) è stato protagonista di un gran finale di stagione dopo essersi piazzato al terzo posto nell’Amstel Gold Race. Per entrambi, proprio le grandi classiche del Nord saranno un banco di pro­va attesissimo nella prossima stagione.

Alle classiche guardano anche Diego Rosa e Gianni Moscon che correranno insieme nel Team Sky, Moreno Moser che cerca riscatto in maglia Astana, Da­vide Formolo e Alberto Bettiol che proseguiranno il loro cammino di crescita in maglia Cannondale. E naturalmente aspettiamo il ritorno di Adriano Malori, protagonista di una bruttissima caduta al Tour de San Luis e poi di un recupero che ha fatto scuola. Pur­trop­po il parmense della Movistar è caduto al rientro fratturandosi la clavicola alla Milano-Torino, ma sta lavorando per rientrare alla grande in gruppo il prossimo anno.
Ci aspettiamo infine grandi cose da Elia Viviani: dopo aver regalato a se stesso e alla pista italiana lo splendido oro olimpico di Rio de Janeiro, il veronese tornerà a concentrarsi esclusivamente sulla strada con l’ambizione di puntare ai traguardi più importanti per un velocista. Ha le doti, la classe e la determinazione per arrivare davvero lontano.

SICUREZZA.
Ne abbiamo viste di tutti i colori, purtroppo. E abbiamo versato troppe lacrime per incidenti che non avrebbero dovuto succedere: Antoine De­moi­tié ha perso la vita alla Gand-We­velgem dopo essere stato travolto da una moto del seguito; Stig Broeckx porterà conseguenze per tutta la vita dopo essere stato a sua volta investito da una moto al Giro del Belgio. Sono solo i più gravi di una lunga serie di incidenti che hanno portato alla ribalta il problema dei messi al seguito della corsa e della professionalità di chi gui­da. Un problema per il quale, dalle gare di base fino alle corse più importanti del mondo, occorre fare ancora molto.

Paolo Broggi, da tuttoBICI di dicembre

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