CASSANI COME CIAMPI

TUTTOBICI | 24/11/2016 | 07:45
Più della stravaganza del Mondiale in Qatar - eb­basta coi piagnistei per il caldone e per il deserto anche in tribuna: il ciclismo or­mai è mondiale, si corre ovunque perché gli sponsor hanno interessi ovunque, dunque met­tiamo in conto che qualche volta si possa persino avere l’impressione d’essere al luna park - più della singolarità dell’evento sarebbe il caso che noi italiani andassimo in letargo solo dopo una seria riflessione sui risultati azzurri 2016. Non ci possiamo ridurre soltanto a contare le medaglie (brillantissimo, fino ad accecare, l’oro di Viviani), a mettere in fila piazzamenti buoni e piazzamenti imbarazzanti. Per questa contabilità basta un attimo. L’ab­bia­mo fatta subito. È di un altro bilancio che intendo parlare. Me­no evidente e immediato, ma certo non meno importante. Tutt’altro.

Io metterei al centro delle valutazioni Davide Cassa­ni. La famiglia federale è ampia e numerosa, un uomo solo non può nulla. Però in que­sto caso siamo di fronte a un ct particolare, diciamo pure nel segno dei Martini e dei Bal­lerini, cioè a veri e propri tuttofare, o multitasking come di­reb­bero adesso. Dire che Cas­sa­ni si riduca a mettere insieme qualche atleta una volta all’anno (stavolta due, anno olimpico), mi sembra davvero surreale. Cioè sopra la realtà, al di fuori della realtà. Cassani è molto di più: a occhio e croce, è un supervisore dell’intera vita azzurra. Un preside. Un dirigente scolastico, secondo le nuo­ve regole. Partecipa dall’asilo delle categorie giovanili fino all’università dei professionisti. Con quali risultati?

In quanto ct dei prof su strada, è a digiuno. I nu­meri non sono un’opinione. Ma giudicare Cassani in questo modo è altamente in­giu­sto: dal punto di vista dell’argenteria, senza la caduta di Nibali ai Giochi saremmo probabilmente qui a dire altre co­se. Ma torno a dire: non ha sen­so giudicare Cassani da una medaglia in più o in meno. Per­sonalmente, trovo che il suc­cesso di Cassani sia un al­tro, se vogliamo molto più prezioso dell’oro. E gliene voglio dare pubblicamente atto.

Siamo tutti grandi e vaccinati, la premessa è scontata: Cassani può risultare simpatico o antipatico, ma le valutazioni devono prescindere da questi criteri personali. Guardiamo alla so­stanza. Ebbene, chiudendo questo 2016 io mi sento in do­vere di considerare Cassani co­me un piccolo Ciampi. Il paragone è stravagante fino a un certo punto. E comunque Da­vide se l’è guadagnato sul cam­po. Lo ricordiamo, il presidente appena scomparso: ricordiamo il significato particolare della sua gerenza al Quirinale. Dopo i decenni cupi e deprimenti in cui parlare di patria e tricolore era una vergogna, Ciampi ebbe il grande coraggio civile di re­stituire alla patria e al tricolore tutta la dignità che meritano. Cultore della storia risorgimentale, come studioso e come ap­passionato italiano, gli fu facile inalberare con sincero e rinnovato orgoglio l’amata bandiera. E per tutto il popolo, abituato a sentirsi orgogliosamente italiano soltanto sulle tribune de­gli stadi, fu naturale riscoprire i propri valori e le proprie radici, tanto da arrivare ormai a sdoganare completamente il sen­so di patria. Il merito non fu di altri: fu di Ciampi. Che si prese la briga di cominciare, andando controcorrente.

Senza farla troppo lunga, credo che siano già ab­bastanza chiari i termini del paragone. Cassani sta fa­cendo con la maglia azzurra ciò che Ciampi fece con il tricolore. Non sono lontani i tempi in cui la nazionale era vissuta con fastidio dagli atleti e dai loro padroni. Evito per pudore di ri­cordare che cos’era ormai il cam­pionato italiano. Passo ol­tre. Ricordo il resto. Gente che storceva il naso davanti alla convocazione, gente che poneva condizioni, che ricattava, che si concedeva facendola ca­lare dall’altro. E sponsor che me­t­tevano i piedi sul tavolo. E vertici federali distratti, se non assenti (chiedere a Bettini, eventualmente). E la maglia az­zurra, e il tricolore? Sec­ca­ture che ogni tanto venivano a disturbare la visibilità dei club. Ma basta con questa nazionale, ormai non ha più senso, ormai è un vero anacronismo...

Con calma, a piccoli pas­si, sopportando un sac­co di lunatici e di prepotenti, Cassani ha lentamente ridato prestigio e dignità alla maglia azzurra. Partendo dai livelli giovanili, fino ai più alti gradi dei big. La convocazione non è più una seccatura, ma torna a essere un obiettivo stagionale. La maglia azzurra non è più un indumento anonimo e slavato, più o meno come una canottiera, ma un’icona da conquistare e da mettere in bacheca. Come ci è riuscito, il cocciuto Cassani? Credo che il segreto sia uno solo, lo stesso di Ciampi: prima di chiedere passione e amore agli altri, li sente e li vive dentro di sé. Da sempre, fin da quando faceva il gregario per Martini e a quella convocazione teneva da matti, facendone una malattia. È una regola antica come l’uomo: si trasmette ciò che si ha dentro. Se c’è.

Cristiano Gatti, da tuttoBICI di novembre
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COMMENTI
Azzardato
24 novembre 2016 19:53 IngZanatta
Paragone azzardato, molto azzardato. Non condivido. Saluti

concordo
25 novembre 2016 08:49 bernacca
concordo sull'analisi, di Cassani si può dire tutto come ct ma come amante del ciclismo è l'unico che sta guardando oltre e che lavora per e con i giovani; ha ridato linfa alla pista, alle nazionali giovani e meno giovani e ha ri creato il giro dilettanti! e' stato l'unico a dichiarare che le granfondo dovrebbero dare qualcosa al settore giovanile e ha riportato i ns juniores a correre all'estero.

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