KRUIJSWIJK. «Nel mio futuro c'è un grande Giro»

PROFESSIONISTI | 15/06/2016 | 09:00
Uno Steven Kruijswijk particolarmente rilassato quello che incontriamo al Bianchi Cafè in pieno centro a Milano dove la gente corre anche per il brunch. Una pausa pranzo insolita che si trasforma in un vis à vis con uno dei più grandi protagonisti del Giro d’Italia che si è appena concluso con il successo di Vincenzo Nibali.

L’olandese appare longilineo e le spalle da corazziere che tanto hanno impressionato per larghezza mentre pedalava sulle salite del Giro, strizzato nella divisa da ciclismo, sono ben contenute nella camicia sportiva. Qualcosa è rimasto a ricordare l’impresa sfiorata al Giro come la bici con il nastro manubrio a tema. Qualcuno gli offre anche la maglia rosa da autografare, quasi a farlo sentire un vincitore morale, lui firma per buona pace di Nibali.
Ci sediamo con il rosso olandese, per l’occasione accompagnato dal team manager Richard Plugger e dal CEO Bianchi Bop Ippolito,  e la prima domanda è forse quella più scontata, ma più spontanea.

Avresti vinto il Giro d’Italia senza quella caduta nella discesa del Colle dell’Agnello?
«Onestamente credo di sì. Avevo parecchi minuti di vantaggio, quasi 5 e durante quella tappa non avevo mai lasciato alcuno spazio a Nibali e Chavez. Gli altri addirittura erano dietro. Certo, stavo soffrendo, ma eravamo su una delle salite più dure della corsa e non mi aveva staccato».

Poi è iniziata la discesa. In una frazione di secondo eri a terra. A cosa hai pensato in quell’esatto istante in cui cadevi?
«Provavo a non perdere il controllo di me stesso. Dovevo tenere la bici in strada ma non ci sono riuscito, forse la neve ha reso la prospettiva piatta e non ho visto bene la curva. Appena caduto ho pensato a prendere la bicicletta, a risalire. Il mezzo era danneggiato e vi è stato un attimo di caos totale. Mentalmente un colpo molto duro. Stavo perdendo la maglia rosa ma non ho rinunciato a combattere. Ci ho provato, nelle corse non si può mai sapere. Purtroppo mi sono ritrovato solo ed al traguardo mancavano ancora 55 chilometri. Il sogno, dopo 5 giorni in rosa, stava svanendo. Non è stato facile con le botte alle costole e lo shock. Pensa che solo pochi giorni fa ho scoperto di avere anche una piccola frattura al piede sinistro».

Hai rischiato il colpaccio eppure all’inzio pochissimi di pronosticavano. Ti sentivi tra i contenders principali?
«La mia carriera dice che non sono mai stato tra i top 5 di un grande giro eppure io mi sentivo molto bene. Ero concentrato e sapevo che l’anno precedente avevo perso molto tempo in una tappa come quella di La Spezia».

2 episodi negativi in 2 anni. Agli aspiranti per la vittoria di un grande giro non capitano solitamente.
«Tra settimane sono lunghe. Anche a Zakarin e Landa le cose sono andate male. In gruppo ci sono 25 corridori adatti alle grandi corse a tappe e solo 10 riescono ad essere al top durante tutta la corsa.. Comunque in alcuni momenti mi sentivo anche più forte di Nibali o Valverde».

Credi di poter migliorare ancora da un punto di vista fisico o mentale?
«Nel corso degli anni sono migliorato tanto ed ora mi sento più sicuro. Fisicamente in questo momento penso di essere al top e difficilmente potrò andare meglio. L’aspetto in cui posso crescere ulteriormente è quello mentale. Ho vissuto situazioni  nuove che non avevo ancora imparato a gestire come lo stress del leader, le cerimonie di premiazione ed il seguito delle interviste. Sia per me che per la squadra alcune cose sono state una scoperta. Abbiamo imparato molto».

Tutti hanno indicato il tuo team Lotto Jumbo come uno dei tuoi punti di debolezza. Avevi pochi uomini al tuo fianco, spesso solo Enrico Battaglin.
«Penso che il mio team sia forte, certo non siamo attrezzati come Sky o Astana. Bisogna anche dire che non è così facile trovare corridori più forti. Se penso ai nostri avversari potevano contare su nomi come Scarponi, Kangert, Fullsang, Visconti e Nieve. Anche noi abbiamo comunque 2-3 buoni scalatori. Qualcuno in più e sarebbe ancora meglio certo. Su Battaglin che dire? È stato super».

In questo periodo le tue quotazioni sono schizzate molto in alto. Si dice che alcune squadre ti stiano facendo la corte. Quale sarà il tuo futuro?
«Vero, c’è più interesse ora nei miei confronti, ma il futuro lo stiamo discutendo. Troveremo una soluzione che sia per me la migliore. Certo è che in futuro vorrei vincere un grande giro».

Il prossimo anno tornerai in Italia per mettere finalmente le mani sulla corsa rosa?
«Questo non lo so. Ora non posso dirlo perché molto dipenderà anche dalla squadra, qualunque essa sia. Ovviamente a me farebbe piacere tornare, ci sono andato così vicino. Inoltre amo l’Italia».

Per molti sei stato la scoperta di questo Giro, nessuno ti aveva pronosticato eppure hai rischiato di far saltare il banco. Vieni da una terra di grandi pianure, quando hai capito di essere un atleta completo per le corse a tappe?
«Non mi ritengo una sorpresa. Durante gli anni sono sempre migliorato gradualmente fino ad arrivare alla top 10 dei grandi giri. Il mio processo di crescita è stato molto lento ed è iniziato già da Under 23».

Come hanno vissuto questo tuo exploit del Giro in Olanda?
«Per gli olandesi è stata una grande festa, per di più senza la nazionale di calcio ai Campionati Europei ho avuto un’attenzione ancora maggiore. Tutti erano veramente entusiasti e mi hanno sostenuto con calore accogliendomi come meglio non si poteva al mio ritorno. Anche gli sponsor, Lotto e Jumbo (supermercati) sono rimasti soddisfattissimi. Noi non abbiamo corridori da Giro e solitamente prestiamo maggior attenzione al Tour, quindi è stata una piacevole e bella sorpresa per loro che già avevano applaudito in massa la partenza della corsa da Apeldoorn».

E’ cambiata anche la considerazione dei tuoi colleghi nei tuoi confronti?
«Sì sono più considerato, ora sanno che sono un contender per il podio. Ho un nuovo ruolo e mi rispettano».

A proposito di podi... e quello olimpico?
«Durante il Giro ho avuto modo di vedere che nelle tappe dure ero con i campioni, Rio sarà come una grande tappa alpina per questo posso fare una bella corsa. Ora mi preparerò in alture e correndo solo una gara prima di allora: San Sebastian».

Pietro Illarietti
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COMMENTI
Steven Kruijswijk
15 giugno 2016 09:35 cimo
Per me il vincitore morale del Giro

x cimo
15 giugno 2016 10:47 foxmulder
Concordo con la "questione morale", ma non per riconoscergli il ruolo di "vincitore mancato per colpa di un destino avverso", quanto per la moralità dimostrata nell'ammettere che, sotto pressione, ha commesso un errore.

E' la storia dolcezza e non puoi farci niente
15 giugno 2016 11:57 fredyguarin14
Scusate, Coppi e Bartali quanti giri e Tour hanno perso per colpa di una caduta? E' storia! Le cadute e gli imprevisti fanno parte del ciclismo che non è un gioco, come il calcio, ma uno sport. Nibali ha vinto perché ha meritato, Kuijswijk ha perso. "Vincitore morale" non esiste per me. Esiste chi vince e chi perde. Non è importante vincere col catenaccio, ma vincere. Lo spettacolo conta, ma fino ad un certo punto. Nibali ha la maglia rosa a casa e il trofeo senza fine, Kurijswijk un pugno di mosche. Che poi abbia corso un Giro fantascientifico, questo non si può negarlo assolutamente.

15 giugno 2016 12:28 Tarango
Senza cadute magari Luis Ocaña avrebbe due Tour in più e Merckx due in meno.

secondo me
15 giugno 2016 13:42 effepi
secondo me gli amici che mi hanno preceduto nei commenti non hanno evidenziato una cosa : l'olandese non aveva una squadra decente , fosse successo ad altri avrebbero avuto immediatamente la bici da un compagno o un minimo di aiuto per recuperare ciò non toglie che la caduta non è sfortuna ma uno sbaglio

La mia sensazione
15 giugno 2016 13:54 pickett
Quello che intuisco dalle sue risposte è che,se una squadra gli garantirà i gradi di capitano al Tour,col fischio che lo rivedremo al Giro.

Bravo Pickett
15 giugno 2016 15:39 teos
Ottima osservazione. Kruijswijk non ha parlato de Il Giro, ma di un giro, e se è vero come è vero che quando si parla al generico la chiave di interpretazione è sempre il Tour quando si parla di Grandi Giri, beh allora ecco che la lettura mi sembra molto azzeccata. Il Giro purtroppo è diventato come una Professional che scopre e svezza i campioni del domani, poi arriva la Sky o l\'Astana di turno a fare grandi compere e godere dei frutti della pianta matura. Con l\'unica differenza che la Professional se trova un buon budget può aspirare a divenire big mentre il Giro invece ha più di qualche problema a pareggiare i conti con la Grande Boucle..

per teos
15 giugno 2016 17:12 Tarango

Vero, però il Giro resta sempre più bello, duro e difficile del Tour. Prova ne è il fatto che sono stati molto quelli che, arrivati al Giro convinti di fare sfracelli dopo un piazzamento al Tour, se ne sono invece tornati a casa con le pive nel sacco. Wiggins e Porte gli ultimi, venisse Froome farebbe la stessa fine. Garantito.

@Tarango
15 giugno 2016 18:27 teos
D'accordissimo guarda, sulla superiorità della bellezza delle nostre montagne e delle nostre strade (dove per strade ovviamente intendo percorsi urbani ed extraurbani, non di certo il manto stradale..) nulla da eccepire, io parlo soprattutto dell'incapacità di RCS di trovare una maniera per non dico riequilibrare la popolarità col Tour ma quantomeno ricreare un vero interesse attorno alla corsa rosa come fino a qualche decennio fa. Io sono sempre stato del parere che, come scrisse in un suo articolo una decina di anni fa Beppe Conti riproporre il Giro d'Italia per nazioni sarebbe una carta da giocare assolutamente vincente. Certo una mossa shocking, certo andrebbe contro gli interessi degli sponsor (ma secondo me fino ad un certo punto perché basterebbe apporre anche una piccola toppa sul pettorale del ciclista di turno e sai che eco mediatica per lo sponsor in una gara del genere??), ma d'altro canto per svegliarsi dal torpore serve sempre una scossa bella assestata (e una mente aperta e lungimirante..). A quel punto potendo correre una gara come il Giro con le insegne del proprio Paese e il Tour con i colori del proprio sponsor quanti secondo voi incentrerebbero la propria stagione sulla Grande Boucle? Secondo me pochi, perché in fondo in fondo in qualsiasi sport correre coi riflettori puntati del proprio paese e con la propria bandiera cucita sulla maglia è quanto di più onorevole ci sia per un atleta. Una roba del genere porterebbe tra l'altro non solo al rilancio mediatico di una corsa nello specifico ma anche del movimento ciclistico intero in senso lato. In assenza di campioni capaci di mobilitare le masse come ultimo è stato solo Pantani, secondo me questa dovrebbe essere la via per tornare alla ribalta..

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