BRUNO REVERBERI: «NIBALI GRANDE, NOI LO DIVENTEREMO DI PIÙ»

PROFESSIONISTI | 07/06/2016 | 10:36
Lo «zio» è contento: sia per come è andato il suo di Giro ma anche per chi alla fine la maglia rosa è andata. «Ha vinto il corridore migliore e più forte – spiega a tuttobiciweb.it Bruno Reverberi, uno dei decani dell’ammiraglia -. Fortunato Vincenzo? La fortuna aiuta sempre gli audaci e soprattutto quelli che sono lì a lottare. Vincenzo anche quando andava male e sembrava la brutta copia del campione che tutti noi conosciamo era in ogni caso quarto nella generale: scusate se è poco. Non c’erano più Landa o Dumoulin? E allora. Kruijswijk ha commesso un errore nella discesa del Colle dell’Agnello? Certo, ha commesso un errore. Vincenzo ha masticato amaro, ha raschiato il fondo del barile e poi ha ritrovato forza e coraggio. Io da italiano sono felice: ha regalato al nostro sport e a quanti amano il nostro sport una pagina di ciclismo bellissima. Lo ripeto, io sono felice».

Felice anche di aver disputato un ottimo Giro d’Italia…
«Logico, questo poi mi rende orgoglioso e mi rasserena. Abbiamo vinto una tappa con il giovanissimo Ciccone e siamo stati protagonisti nell’arco di tre settimane. Questo è merito dei nostri due tecnici, Roberto (Reveberi, il figlio, ndr) e Stefano (Zanatta, dnr). La nostra è una squadra di giovani e pensiamo di aver contribuito a rendere ancora più bello un Giro che a mio modesto parere è stato davvero molto intenso e combattuto: mai banale».

Se avesse vinto però l’olandese…
«È vero, per noi italiani non sarebbe stata la stessa cosa, ma anche per il resto del mondo ad eccezione dell’Olanda. Sia ben chiaro, fino a quel momento “Krui” non aveva rubato assolutamente nulla e probabilmente senza quella caduta il Giro non l’avrebbe perso, anche se sul Colle dell’Agnello non l’ho visto benissimo mentre Vincenzo quel giorno mi era parso molto concreto e brillante. Sbloccato mentalmente. Più coraggioso e padrone della situazione. In ogni caso la vittoria di Nibali ha nobilitato il lavoro di tutti. Quando vincono i campioni e lo fanno in quel modo, non ci sono tante cose da fare se non applaudire».

E ora?
«Si torna a correre, con il Giro di Slovenia, dove rientreranno alle competizioni sia Velasco che Zardini».

Stai già lavorando alla squadra del 2017?
«Logico. Le basi si gettano adesso. Al momento su 17 corridori ne abbiamo già rinnovati 12, gli altri aspettiamo di avere le idee più chiare».

Chi sono i confermati?
«Vado in ordine sparso, anche perché la memoria comincia a fare qualche brutto scherzo: Pirazzi, Ciccone, Simion, Ruffoni, Boem, Velasco e Zardini, poi Barbin, Tonelli, Andreetta, Maestri e Rota».

E Colbrelli?
«Potremmo tenerlo, a noi non dispiacerebbe affatto, ma lui vorrebbe fare il salto di categoria e approdare in una World Tour: non mi sembra giusto mettersi di traverso. Lo lasciamo andare (è molto probabile che il corridore possa seguire Nibali in Bahrein, ndr)».

La squadra non perderà la sua natura di team fatto di giovani italiani?
«Assolutamente no. La struttura sarà così, magari potremmo inserire qualche giovane in più. Invece di averne 17 potremmo anche arrivare a 20. Ma saranno ragazzi tutti italiani, possibilmente giovani. Sembra che squadre come la nostra non servano. Ma ragazzi come Ciccone, in una World Tour, o non ci sarebbero mai andati, oppure non avrebbero corso il Giro. Con squadre come la nostra i giovani hanno la possibilità di fare esperienza, crescere, valutare e farsi valutare».

Nuovi innesti?
«Faremo passare Maronese (Zalf Euromobili Desiree Fior) e Albanese (Hopplà Petroli Firenze), poi stiamo valutando altri corridori interessanti ma dobbiamo ancora fare le ultime valutazioni tecniche tutti assieme, con Roberto e Stefano».

Al campionato italiano non ci pensate?
«Quando si corre si pensa sempre a fare bene, ma dobbiamo essere anche realisti: su un percorso come quello di Darfo Boario l’uomo giusto era Colbrelli ma ha la polmonite. In ogni caso qualcosa speriamo di poterci inventare, anche se lo ripeto, siamo realisti e nel ciclismo c’è poco da inventare. Ma come si dice: mai dire mai».     

di Pier Augusto Stagi
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