Era archeologo e naturalista, topografo e ambientalista. E per i suoi studi e le sue osservazioni, le sue battaglie e la sua curiosità, girava in bicicletta. C’è una foto che è assurta a simbolo: lui, in bicicletta, mentre legge un libro. E sorride. L’equilibrio sembra precario. Potrebbe anche essere che, nello scatto successivo, il fotografo abbia ritratto un rocambolesco ruzzolone.
Si chiamava Lucos Cozza. E oggi avrebbe compiuto 95 anni. Nato a Roma, l’11 aprile 1921, morto a Roma, il 27 giugno 2011. E a Roma ha dedicato gran parte del suo lavoro e della sua esistenza. Il centro del suo interesse erano le Mura Aureliane, il meno conosciuto e il meno valorizzato dei monumenti di Roma. Costruite verso la fine del III secolo d.C., con una struttura stellare a sette vertici (e il numero 7 ricorre magicamente, nella storia romana, anche per i colli), le Mura Aureliane non solo chiudono la Città al suo interno, ma la aprono anche all’esterno attraverso le porte e lungo le strade. Dunque, non sono soltanto un punto di arrivo, ma anche una base di partenza. E non sono mai state un elemento di divisione, ma anzi, un elemento di unificazione di Roma.
Le Mura Aureliane sono quelle che si vedono vicino alla Piramide Cestia, sono quelle che si stagliano vicino a Porta Maggiore e a Porta Pia (due delle 17 porte inglobate nella struttura), sono quelle che si ammirano vicino a San Giovanni. Dei 19 km originari, per oltre 11 le Mura Aureliane sono ancora erette, e si tratta del più esteso perimetro metropolitano in un Paese occidentale. Un patrimonio di torri e camminamenti, un tesoro di spazi verdi e liberi, una testimonianza storica e geografica dall’iniziativa di Aurelio agli interventi di Massenzio e Onorio, dai rifacimenti gotici ai restauri vaticani. Un percorso infinito. E un’eredità incancellabile, dalle cannonate dei piemontesi ai graffiti dei pellegrini. E Cozza se ne prendeva cura: controllava, registrava, denunciava. Quaderno e matita. In bicicletta.
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