PROFESSIONISTI | 30/03/2016 | 08:18 Il grande giorno per Andrea Fedi è arrivato il 14 febbraio. Nel giorno di San Valentino il ventiquattrenne toscano della Southeast Venezuela ha finalmente rotto il ghiaccio e vinto tra i professionisti. Nel ciclismo che conta dal 2013, anno in cui s’aggiudicò per la verità una tappa del Giro di Slovacchia, corsa però classificata 2.2, il mese scorso ha centrato la vittoria con la V maiuscola. Quarto al Gran Premio Costa degli Etruschi di Donoratico, fin dalle prime pedalate di questo 2016 ha dimostrato che i tempi sono ormai maturi per dimostrare quanto vale nella massima categoria. Così nella 53esima edizione del Trofeo Laigueglia con una bella stoccata da finisseur ha avuto la meglio su Sonny Colbrelli, Grega Bole e tutti gli altri.
Quanto sei felice di aver vinto? «Sono felicissimo, questa vittoria è arrivata a “modo mio”. Ho allungato nel finale, ci ho creduto e tutto è andato come doveva. La inseguivo da tanto tempo. Ho sferrato l’attacco salendo a Capo Mele, non mi hanno lasciato andare perciò ho giocato il tutto per tutto in discesa. Devo dire un grande grazie alla squadra che mi ha dato una fiducia incondizionata e alla mia famiglia che c’è sempre. Quest’inverno ho lavorato bene, ma non pensavo di partire così forte. Adesso voglio sfruttare il momento».
Ora il calendario cosa prevede? «Sono in Belgio per fare esperienza, non avendo mai gareggiato al Nord, se non nelle categorie giovanili. Sono curioso di vedere dove posso arrivare. Il fatto che la vittoria sia arrivata subito, toglie molta pressione sia a me che alla squadra. Ora dovrebbe venire tutto più facile, cercherò altri risultati nelle corse italiane. Mi piacciono tutte, per il grande pubblico e perché sono un palcoscenico importante per il mio team che punta a rivincere la Coppa Italia».
Che atleta sei? «Sono un corridore abbastanza completo, quando sono in condizione reggo bene sulle salite brevi anche impegnative e ho un buono spunto veloce. Inizialmente peccavo sulle salite lunghe, ora essendo migliorato posso giocarmi anche corse più dure. Negli anni ho acquisito esperienza, imparato ad allenarmi, a gestirmi a casa, ad essere professionale. Magari qualcuno mi può definire rompiscatole perché sono parecchio puntiglioso, ma di solito, alla lunga, vengo apprezzato».
Quando hai iniziato a correre? «Da G1, la mia prima gara in assoluto è stata a Casalguidi (PT). Arrivai terzo dietro a due ragazzi con cui sono stato in classe fino alle superiori, Fruini e Bonaiuto. Mio padre è un amatore, usciva spesso con gli amici in bici, in famiglia siamo sempre stati circondati da due ruote. Ho cominciato con mio fratello maggiore Matteo, che ha 27 anni ed è stato prof dal 2011 al 2013. Ora fa il tecnico delle caldaie, aveva studiato per questo, ha voltato completamente pagina, per questo lo ammiro molto».
Chi devi ringraziare per dove sei arrivato? «Senz’altro i miei genitori, mamma Vera e papà Fabrizio con cui abito a Pistoia e che hanno un vivaio, oltre alla mia ragazza e a mio fratello. Da Under 23 per alcuni incidenti ho affrontato periodi non facili, se non ho mollato è grazie a loro. Con Irene sto da sette anni: i sacrifici affrontati insieme a lei sono alla base di tutto. Lei in settimana lavora nel calzaturificio di famiglia, si occupa della contabilità e studia come modellista, io sono sempre alle gare nel weekend quindi non è semplice trovare il tempo per stare assieme, ma mi capisce e supporta come meglio non potrei chiedere».
Cos’altro si può dire di te? «Sono diplomato perito meccanico e sono appassionato di tutto ciò che riguarda le novità tecniche legate a bici, moto e macchine. Tifo Fiorentina e mi piace molto il football americano. Non simpatizzo per una squadra in particolare, ma seguo le partite della Nfl. Apprezzo i commenti tecnici e l’atmosfera allo stadio, il fatto che le famiglie ci possono andare con la massima tranquillità. Il mio carattere? Inizialmente sembro schivo perché non do troppa confidenza a chi non conosco, ma quando mi apro amo fare gruppo. Nel tempo libero? Mi riposo. Sono pigro perciò mi godo qualche momento di relax. Mi piacciono i film, il mio preferito è Pearl Harbour, ma amo molto anche i documentari di Michael Moore: Capitalism è l’ultimo che ho visto. Sui libri invece non vado forte, leggere non mi attira».
Il tuo idolo sportivo? «Ho sempre ammirato molto Paolo Bettini, per le sue caratteristiche e per il tipo di corse che vinceva, e Frank Vandenbroucke che, tralasciando la sua vita privata, ho sempre visto un po’ come un mito per quello che ha fatto in bici. Franco Ballerini è stato il mio modello perché abitava davvero vicino a casa mia, mi spiace non averlo conosciuto. Ora il mio idolo è Philippe Gilbert perché è un corridore che vince dando spettacolo».
Se non avessi fatto il ciclista? «Probabilmente avrei studiato Ingegneria Meccanica, mi è dispiaciuto molto lasciare gli studi universitari che avevo intrapreso, ma il ciclismo è davvero impegnativo e lascia poco spazio per altro».
Il tuo miglior pregio? «La voglia di arrivare, partendo da zero anno dopo anno sono cresciuto, senza mai sentirmi soddisfatto».
Il tuo peggior difetto? «Nei momenti di difficoltà non sono lucido, cedo allo sconforto se non ho al mio fianco qualcuno che mi fa riflettere e mi incoraggia, come fa la mia famiglia e il mio preparatore Luca Mazzanti, che mi segue da vicino e per me è davvero una presenza importante».
Su cosa devi lavorare? «Devo maturare ancora un po’ fisicamente e perdere dei chili (183 centimetri per 69 chili le sue misure, ndr), man mano riuscirò a far tutto. Rispetto agli scorsi anni, quest’inverno ho semplicemente lavorato di più, con costanza, stando più attento al peso fin da novembre. Mi sono irrobustito muscolarmente. Sono una buona forchetta, il cibo è la mia più grande passione. Sto attento alla linea come tutti i corridori, ma nei momenti giusti mi concedo qualcosina. Per i primi non vado matto, preferisco i secondi sia di pesce che di carne. Mi piace cucinare ma non so fare grandi cose ai fornelli, me la cavo».
L’aspetto più bello e più brutto di questo sport? «Quello che mi piace di più è il rapporto che crei con certe persone, come i compagni e i direttori sportivi. Con alcuni elementi del gruppo litighi e non ti guardi in faccia ma con altri puoi costruire rapporti stretti e sinceri. Che dire poi dell’emozione che si prova quando si riesce a vincere... D’altro canto il ciclismo toglie tanto alla vita normale, siamo sempre in giro e lontani dai nostri cari, a volte è difficile».
La prima cosa che pensi al mattino? «Alla colazione (sorride, ndr)».
L’ultima cosa che fai alla sera? «Guardo un po’ di tv, senza mi addormento male».
Come ti immagini tra qualche anno? «Spero di ottenere la fiducia di una grande squadra anche come lavoratore perché non disdegno il ruolo del gregario, anzi. A tutti garba vincere, ma c’è anche chi lavora “dietro le quinte” con altrettanta fatica e professionalità. Adoro la vita da ciclista, quindi spero di poter continuare a svolgere questo lavoro il più a lungo possibile. Sogno di riuscire giocarmi una classica, ma a dire la verità non mi pongo mai la domanda “dove posso arrivare” per evitare delusioni. Alle parole preferisco i fatti».
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