KITTEL. «Aiutateci ad essere più sicuri»

PROFESSIONISTI | 29/03/2016 | 10:01
Vi proponiamo la riflessione di Marcel Kittel, postata su Facebook all'indomani della tragica scomparsa di Antoine Demoitié.

Con la morte di Antonin Demoitié abbiamo toccato tristemente il punto più basso nella storia del ciclismo e della sicurezza. Molti dicono che quanto è accaduto fa parte del nostro lavoro. Sono d'accordo ma solo in parte. Ogni corridore che viene ferito in un incidente di cui non è responsabile, è uno di troppo. C'è una grande differenza tra i corridori che cadono negli ultimi chilometri frenetici di una corsa, lottano per prendere questa o quella ruota, e corridori che vengono coinvolti lungo il percorso in incidenti causati da altri mezzi.

Quando il gruppo arriva al finale di una corsa o affronta un passaggio chiave, ogni corridore sa che è un momento potenzialmente pericoloso. C'è chi non esita a frenare con un secondo di ritardo, chi si fa largo per impostare la traiettoria migliore, chi rischia per recuperare una posizione, chi cerca sempre il limite. Quelli sono rischi calcolati e fanno parte dei motivi per cui amo il ciclismo. È la lotta per la vittoria, quella che ti fa sentire orgoglioso quando vinci e triste quando non ce la fai. Quella che con i compagni ti fa parlare delle cadute evitate e delle cadute che magari ti hanno coinvolto...

Ma negli anni il problema della sicurezza è diventato sempre più urgente. Ricordo negli ultimi due anni i casi di Greg Van Avermaet (San Sebastian), Peter Sagan (Giro di Spagna), Taylor Phinney (US Nationals), Stig Broeckx (Kuurne-Brussel-Kuurne), Jesse Sergent (Giro delle Fiandre) e Jakob Fuglsang (Tour de France), tutti coinvolti in un incidente con una moto o un'auto della corsa. E ancora Peter Stetina (Vuelta Pais Vasco), Tom Boonen (Tour di Abu Dhabi) o Matt Brammeier (Tour of Utah) caduti a causa di percorsi non sicuri.

Molti di loro sono finiti in ospedale, la loro carriera è stata ovviamente influenzata, sono stati costretti ad affrontare una dolorosa riabilitazione. E le loro cadute hanno anche influenzato l'esito della gara, penalizzando in un colpo solo corridori, squadre, organizzatori, sponsor, media e tifosi. Non solo: il corridore è ferito ma chi lo ha investito porterà il peso di quanto accaduto per tutta la vita.

Sia chiaro, il più grande problema è il doping e lo stiamo combattendo. Ma i problemi di sicurezza sono evidenti, dovrebbero avere la stessa attenzione e la stessa priorità della lotta al doping. Per salvare delle vite e perché in questo campo si è fatto ancora troppo poco.
La globalizzazione del ciclismo ha portato alla nascita di molte corse in nuovi angoli del mondo, la lotta contro il doping ha spostato il focus del miglioramento su formazione, tecnologia e la nutrizione. Lavoriamo come matti per essere più veloci di mezzo secondo, tutti andiamo più forte e tutti prendiamo rischi sempre maggiori, spinti dalla pressione di essere sempre davanti.

Quindi è necessario fissare standard più elevati per le moto e le auto presenti nelle corse dei professionisti e questo non devono farlo i corridori, ma gli organizzatori e l'UCI. È troppo facile dire che i corridori sono in corsa e hanno la responsabilità della stessa. No, non è vero. Ci sono così tante cose in una gara che sono fuori dal controllo di un corridore. Noi abbiamo bisogno di poterci fidare della serietà degli organizzatori e di regole applicate da persone esperte.

Dobbiamo lavorare insieme per rendere questo sport sempre più sicuro e dare un senso al tragico incidente di Antoine Demoitié. Abbiamo bisogno di iniziare a parlare apertamente della sicurezza. Questo è quello che mi aspetto dall'UCI e dall'Associazione dei corridori cui appartengo. Lo dobbiamo ad Antoine, facciamo di tutto per far sì che una tragedia simile non accada di nuovo.
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