GATTI&MISFATTI. NON ABBIAMO PIÙ ASSI

PROFESSIONISTI | 19/03/2016 | 19:15
di Cristiano Gatti

Un omo Demare a Sanremo, ecchì sennò? Così, alla romanesca, l’avrebbe scritto Pasolini parlando dei ragazzi di vita, come in fondo sono tutti questi incoscienti spericolati del gruppo. Purtroppo per noi non c’è niente di romanesco e tanto meno di italiano in questa storia. Per l’undicesima volta andiamo in bianco e tra l’altro è sempre più difficile immaginare chi in un futuro abbastanza prossimo possa interrompere la serie nera. Continuo a pensare e a dire che chiedere a Nibali di risolvere le nostre questioni patriottiche è una vera carognata, perché alla resa dei conti il nostro campione può fare al massimo quello che al massimo fa pure stavolta: rischiare le vertebre giù dal Poggio nella speranza di guadagnare un pugno di secondi. Ma è richiesta inverosimile: come comprare un solo biglietto della lotteria e pretendere sia quello del primo premio. Può succedere. A qualcuno succede. Ma hai voglia di sperarci. Si fa prima a morire di vecchiaia.

Stavolta la faccenda è tutta francese, con il derby della marsigliese tra Demare e Bouhanni risolto in fondo dalla caduta del colombiano Gaviria, capace in un colpo solo di eliminare dal gioco proprio il franco-marocchino, e già che c’è pure il favoritissimo Sagan, stavolta messo al posto giusto nel momento giusto (opinabile parere personale: avrebbe vinto).

Il capolavoro di Demare sta proprio nella prontezza con cui approfitta dell’occasione d’oro. Non è un pregio da poco. Ci sono presunti campioni che riescono a perdere sempre il treno che passa, magari non una volta sola. Demare invece ci salta subito sopra al volo e va a trionfare di prepotenza. Ancora più bello della sua vittoria riesce ad essere il suo primo commento, espresso con sorriso a fetta d’anguria, da orecchio a orecchio: “Non mi rendo conto di quello che ho fatto. Sono sorpreso. Evidentemente ci sono dei giorni in cui la vita ti sorride. La Sanremo è qualcosa di troppo grande per me”.

Il senso della giornata, totale e definitivo, sta proprio in queste ultime parole. Un vincitore che lotta per 295 chilometri (grazie al rabbocchino di quattro chilometri in autostrada, causa frana sull’Aurelia), un vincitore che rischia l’osso del collo giù dal Poggio e in volata, in altre parole uno stuntman dello sport estremo accoglie la vittoria con umile soggezione. Quasi sentendosi inadeguato. Troppo grande per me, la Sanremo. E questo è il trampolino giusto per tornare con tuffo a bomba sugli italiani. Demare lo dice per modo di dire, per noi la Sanremo sta diventando troppo grande sul serio. Se il migliore nella soluzione allo sprint è ancora Pozzato, la lezione da imparare è una sola: sul piano della pura velocità, non abbiamo più assi da giocare. Abbiamo qualche briscola per le volatine delle corsette, non abbiamo un solo uomo di levatura per le corse e le cose serie. Non un grande per grandi traguardi. Non uno sprinter monumento per le gare monumento. Da Sanremo non ci viene neppure la consolazione di intravederlo almeno per il futuro. Per intravederlo, al momento bisogna addentrarsi direttamente nella fantascienza. Fossi in Cassani, in quanto ct, comincerei a dormire male. Ci aspetta un Mondiale che è tutto un programma. Qatar, zero metri sul livello del mare, dislivello totale dodici metri, se il vento alza qualche duna. Auguri.
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