STORIA | 14/11/2015 | 07:02 KIGALI (RUANDA). Per arrivare alla partenza (sempre meglio che partire dall’arrivo) è salito e sceso da quattro aerei: il primo da Cordoba a Buenos Aires, il secondo da Buenos Aires a Madrid, il terzo da Madrid ad Amsterdam, il quarto da Amsterdam a Kigali. Due giorni pieni di viaggio. A Kigali, al controllo dei passaporti, ha scucito i 30 dollari indispensabili per conquistare il visto e ha finalmente messo piede in Ruanda. Quell’aria tiepida e dolciastra, quelle luci fioche e tremolanti, quel caos allegro ed equatoriale.
Emanuel Mini è uno dei corridori del Tour of Rwanda, prologo e sette tappe dal 15 al 22 novembre. Argentino di Merlo, stato di San Luis, ma il nonno era italiano e, all’ufficio immigrazioni, non si sa se lui o l’addetto hanno sostituito il cognome originario (Emanuel non si ricorda più quale fosse) con il luogo di provenienza (Rimini), e poi lo hanno abbreviato (Mini).
Giocava a calcio, Emanuel, difensore centrale, poi, senza un perché, quattro anni fa ha lasciato il pallone e si è innamorato della bici. Il bello è che aveva già 25 anni. “La prima corsa, su una mountain bike prestata da un amico, non avevo neanche la borraccia e bevevo solo dalle bottiglie che mi allungavano gli spettatori. La seconda corsa non l’ho finita perché mi si è spezzata la catena e, per la rabbia, ho gettato la bici, sempre quella del mio amico, nel prato”. Ma il fuoco era stato acceso, l’incendio divampato.
Tre anni fa Emanuel – uno e 80 per 75 e laurea universitaria in una facoltà a metà fra diritto ed economia - ha scoperto di essere diabetico: “Ma è stata una mezza fortuna, perché sono stato contattato da un meccanico argentino di una squadra composta da corridori diabetici, la DT1 argentina, poi sono passato al Team Novo Nordisk, che ha due formazioni, quella dei professionisti e quella dei dilettanti. E io, nonostante l’età, sono ancora un dilettante”. Un modesto ingaggio, il rimborso delle spese, un posto nel “college” dei corridori ad Alpharetta, sobborgo di Atlanta, un calendario di corse che quest’anno lo hanno portato a correre molto negli Stati Uniti, un po’ in Europa - Umago, Porec, Istria – e adesso, per la prima volta, in Africa.
“Ho studiato le tappe su Internet, ho ascoltato i racconti di chi c’è già stato, e mi sono fatto l’idea di una corsa dura e combattuta”. Passista, qui che è il festival dei saliscendi avrà vita dura. Costantemente monitorato, con un piccolo schermo luminoso su cui può leggere l’istantaneo valore di glicemia per poter intervenire nel caso in cui esca dalla soglia 60-160, Mini testimonia come lo sport, anche di alto livello, e anche di alti consumi come il ciclismo, sia compatibile con il diabete. “Molti smettono perché non sanno che si può continuare a correre, nuotare e giocare”. Lui, quando smetterà, ha già il posto sicuro nell’agenzia immobiliare della famiglia. “Ma intanto mi godo questa vita di corse e fatiche”. Una dolce vita. Come il suo sangue.
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