Una Giubilato da corsa. Comprata da Marangella a Taranto. Era il 1984. Paolo Caputo aveva nove anni e andò lì con i genitori, dopo averli stremati chiedendo, pregando, implorando di comprargliene una. Era successo che aveva visto passare un gruppo di ciclisti su bici da strada e gli era venuta subito la voglia di averne una così e unirsi a loro. Nel negozio, la mamma lo spingeva a comprare una Graziella: per lei ciclismo significava andare a spasso, a passeggio. Paolo la voleva da corsa e basta, disposto ad accettare un modello molto più grande ma grigio metallizzato. Tentò anche una manovra diversiva, puntando su un telaio Colnago, messo in mostra al centro del negozio come un’opera d’arte. Ma quando il negoziante comunicò il prezzo del Master, papà Caputo sbiancò, trasalì, anzi, trasecolò, forse perché capì in quale tunnel si stesse infilando. Finché Paolo dichiarò guerra, bluffando: “O la Giubilato o niente”. E vinse la guerra.
Domani Caputo sarà l’unico italiano al via della Taiwan KOM Challenge, da 0 a 3275 metri, dall’acqua salata all’aria sottile, dall’oceano alla cima. Pugliese, nato a Martina Franca, cresciuto a Crispiano, Paolo ha vissuto e lavorato a Londra, poi si è trasferito a Hong Kong e qui ha ritrovato voglia e sogni per ricominciare a correre: nel 2010 con la Colossi, nel 2011 con la Racing Force, dal 2012 al 2014 con il Team Direct Asia, quest’anno con l’Allied World-CCN Racing, 23 corridori, 15 a Hong Kong e otto a Singapore, la maggior parte sono australiani e neozelandesi, gli altri arrivano da Sud Africa e Stati Uniti, Inghilterra e Svizzera, Scozia e Italia, lui. Gare del calendario sud-est asiatico (dalla Cina al Vietnam, dalle Filippine all’Indonesia…), Uci e amatoriali, categoria elite.
Per dirne una, magari la più dura: “Il Tour of Ordos – racconta Caputo -, all’interno della Mongolia, ottobre 2011. Due tappe in due giorni. Fra le squadre: Astana Continental, tutte le Nazionali asiatiche, squadre Continental australiane e olandesi. Io e altri quattro di Hong Kong avevamo formato un team su invito ricevuto due settimane prima. Mai corso così veloce: 140 km in 2.59’, a quasi 48 di media. Rimanere incollati a ruota per tre ore con accelerazioni e vento laterale, quindi avere sempre uno che coprisse il fianco, è stata un’impresa durissima. La mia vittoria era finire la gara. Ci riuscii”.
Per dirne un’altra, magari la più affollata: “In Cina ci sono sempre 150-200 partenti e fanno sempre le cose in grande. A parte la folla locale che si riversa sulle strade, il centro dell’attrazione è sempre il megapalco con megaschermi e megatende degli sponsor. Gruppi musicali, spettacoli di BMX, trial bikes, ‘podium girls’, insomma un’immensa festa”.
Per dirne l’ultima, magari la meglio organizzata: “Fra quelle amatoriali, il circuito di Laochemi a Chengdu (Sichuan), in Cina. Chi organizza è una famiglia locale che distribuisce la Trek, la figlia è una ex nazionale su pista. Quattro o cinque gare l’anno, e la mia squadra è sempre invitata, cioè cinque o sei corridori spesati, aereo, hotel, colazione, transfer. In Cina chi organizza ha l’obbligo di garantire la presenza di corridori occidentali con i locali. L’unico modo per attrarci è sostenere tutte le spese, in maniera molto generosa. I premi sono ricchi, in contanti. E il nostro tesoriere è contento. La prossima gara a Chengdu sarà il 14 novembre sul circuito ITU triathlon”.
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