CICLO & MEDICI E IL CASO SIMONETTO

POLITICA | 06/12/2014 | 11:23
Martedì scorso, nel bel mezzo del convegno sul doping che è costato a Malagò una cospicua quantità di critiche per quel che doveva essere e non è stato (ma ci sono buoni motivi per credere che all’ultimo momento il presidente del Coni abbia dovuto rinunciare a un annuncio che avrebbe dato un senso all’altrimenti superflua parata di illustri e in qualche caso logorroici addetti ai lavori), Maurizio Casasco, presidente dei medici (Fmsi), e Renato Di Rocco, presidente del ciclismo (Fci), sono stati intercettati in amabile conversare. La suggestione che tra i due fosse scoppiata la pace dopo le note vicende disciplinari relative ai medici sportivi del ciclismo è durata peraltro assai poco. La guerra continua e si arricchisce di nuovi capitoli. Dov’eravamo rimasti? Ai 57 medici deferiti dal ciclismo per aver «messo a rischio la salute degli atleti», 36 dei quali poi condannati, 9 dimessi dalla Fci, 12 con giudizio sospeso per non aver rinnovato il tesseramento. E alla successiva inchiesta della Federmedici, che 46 di quei 57 li aveva assolti. Un cortocircuito cui ha contribuito anche l’infinita lite sugli atti, richiesti per lungo tempo dalla Federmedici alla Federciclismo, questione sulla quale Casasco e Di Rocco sono separati alla nascita (ma le carte d’una fitta corrispondenza darebbero più ragione al primo che al secondo). I fatti nuovi raccontano d’una Federmedici che non sa soltanto assolvere, ma anche condannare. Cinque medici di quello stesso pacchetto originario sono stati infatti condannati: tre a due anni di squalifica, uno a un anno e uno a otto mesi; e diciotto mesi per inciso se li è presi anche il medico della Nocerina di quel famigerato Salernitana-Nocerina sospeso per pseudo moria di giocatori ospiti, minacciati dagli ultrà. Ma raccontano soprattutto di un clamoroso caso Simonetto, il presidente della Commissione Tutela della Salute del Ciclismo e grande accusatore dei 57 medici di cui sopra. Deferito dalla Federmedici andrà a giudizio il 10 dicembre e per lui sono stati richiesti due anni di squalifica. Come non bastasse, Simonetto è stato interrogato mercoledì anche dal Procuratore federale del Ciclismo, Giovanni Grauso, un tipo con la schiena diritta, e tra versioni discordanti e contraddittorie ne sarebbe venuto fuori un bel casino. Abbastanza da assicurare a Simonetto un secondo deferimento stavolta made in Federciclismo. E a qualcun altro, forse, seccature non da poco. Tutta materia destinata prima o dopo (meglio prima) a finire sul tavolo del Superprocuratore Coni generale Cataldi, sempre che nel frattempo questi la smetta di litigare con il Procuratore federale del Calcio Palazzi. Martedì scorso, l’incontro pacificatore tra i due preparato e partecipato da Malagò, Tavecchio, Soro e Uva ha portato risultati meno confortanti di quanto non sia stato fatto trapelare («Mancava solo volassero i piatti» ha detto un testimone eccellente) ma alla fine la volontà «politica» del presidente del Coni e di quello della Federcalcio finirà col prevalere sulla contesa in punta di diritto tra Cataldi e Palazzi. Nuovo incontro prima di Natale, e pace almeno formale sotto l’albero. D’altra parte, che nelle Procure si finisca spesso col litigare non è una novità. Mentre Malagò aspetta di avere (tempo scaduto) dalla Commissione d’Appello della Federnuoto le motivazioni della squalifica a 8 mesi, presso quella di Roma si è ancora in attesa sul caso Barelli dell’ultima parola del gip Sturzo dopo la seconda richiesta di archiviazione che il pm Felici gli ha presentato. Accompagnata questa volta da poche righe che ci limiteremo a definire sferzanti.
P.s. Procura di Roma peraltro da encomio solenne per la sconvolgente inchiesta sulla mafia capitale: a casa Pallotta (stadio) e al Cio (Roma 2024) non vedono l’ora di seguire le prossime puntate.

da «La Gazzetta dello Sport» del 6 dicembre 2014 a firma Ruggiero Palumbo
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