CRISTIANO GATTI. Nibali, il volto dell'italia che resiste
TOUR DE FRANCE | 13/07/2014 | 10:51 Da una settimana core in maglia gialla nella tormenta continua, contro tutti e contro tutto. Tappa dopo tappa, sta ricamando un'impresa che neppure i più feroci detrattori del ciclismo possono sminuire, perché vincere un Tour de France resta a tutti gli effetti una missione impossibile. Vincenzo Nibali, il terruncello di Messina, sta facendo esattamente questo.
Eppure sale sul palco senza mostrare statuario i muscoli a torso nudo. Non espone ai fotografi l'ultimo tatuaggio. Non manda tweet idioti. Vincenzo non ha in testa creste e tagli etnici, ha in testa solo un'idea fissa, un sogno coltivato quand'era bambino, pedalando a Messina, dove il ciclismo c'entra sempre poco: vuole vincere il Tour.
C'è ancora tanto lavoro da fare, prima le Alpi e poi i Pirenei, infine una lunga cronometro di 54 chilometri, ma è già dannatamente avanti. Ormai il suo compito è chiaro: stare a ruota di Contador, l'ultimo avversario rimasto davvero in corsa, certo il migliore. Sulle prime salite la storia è già cominciata nel più rigido rispetto delle parti: Contador davanti con la sua squadra di forsennati, Nibali sempre incollato in scia.
Alla fine del primo match, il nostro cede tre secondi nello sprintino per il secondo posto di giornata: niente. Niente di paragonabile allo sconquasso che si é inventato lui nella memorabile frazione in simil-Roubaix, volando sul pavé. La classifica è bellissima. Bisogna tenere Contador a quella distanza, magari guadagnare qualcosa, per affrontare la crono senza terrore. Ma da qui alla fine c'è ancora l'eternità. Due settimane di luglio che però possono restituire all'Italia negletta un'imprevisto motivo di riscatto e di consolazione.
Ultimamente questa nazione sembra caduta nelle spire inestricabili di un fetente sortilegio: sempre perdere, sempre perdere. Perdiamo Pil, perdiano occupazione, perdiamo rispetto. E questo certo non lo può emendare uno sportivo. Ma il problema è che ultimamente perdiano di brutto anche nello sport. Siamo ancora in psicanalisi con contorno di faide feroci e coltellate tra le scapole per il fallimento globale del sistema calcio: Prandelli, raccontato fino all'altro giorno come un mezzo Papa Bergoglio, candido eblema della nazionale gioventù e commerciale simpatia, è rapidamente ripiegato all'estero sotto un diluvio di insulti e insinuazioni. Ma c'è anche il resto: la Ferrari non ne parliamo, Valentino è valorosamente nelle retrovie, il fantastico rugby del terzo tempo non fa che incassare sconfitte bibliche. E così il basket, e così il volley.
Al momento, risultano in contabilità solo le ragazze del tennis. Non va affatto bene, non sta andando per niente bene. Epoca depressiva. Eppure improvvisamente ci troviamo in testa al Tour. Già sappiamo come la leggeremo: l'Italia è questa, nei momenti peggiori la Nazione dà il meglio di sé. Ce la raccontiamo sempre così, per rimediare velocemente una catarsi ai nostri malanni globali.
In realtà, Nibali veste la maglia di campione italiano, ma è lì con la squadra e con i soldi del kazaki. È il numero uno di un ciclismo nostro che non offre alternative. La sua è la classica corsa individuale, sostenuta dalle sue sole forze, fisiche e morali. Senza sostegni collettivi, nell'indifferenza generale. Tanti insegnanti ispirati, tanti imprenditori appassionati, tanti giovani studiosi non possono che capire. E immedesirmarsi. Ogni giorno, in Italia, i Nibali si alzano dal letto e sanno cosa fare: c'è un Contador da tenere a bada, contro tutto e contro tutti, in qualche modo bisogna farcela.
da Il Giornale del 13 luglio 2014 a firma Cristiano Gatti
Direttore,
condivido in pieno la sua analisi.
E, riguardo a Nibali: un Vero Signore, oltre che un ottimo corridore.
Che si distingue per stile, modestia ed educazione.
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