PELLIZOTTI. «Vecchio? Diciamo maturo...»

PROFESSIONISTI | 01/04/2014 | 09:23
Il delfino di Bibione sguazza se­reno nel suo mare. Svanita la possibilità di vederlo in maglia Astana al fianco di Vincenzo Nibali, il friulano ex riccioli d’oro è tornato in acque sicure e conosciute, vale a dire la famiglia dell’Androni Venezuela che l’aveva accolto a braccia aperte dopo la discussa sospensione di due anni per anomalie nel suo passaporto biologico e l’ha fortemente voluto anche per questo 2014. Franco Pellizotti ha iniziato il suo tredicesimo anno da corridore professionista con la voglia e le motivazioni di sempre, arricchite da un sogno, anzi due o tre, pronti a saltar fuori dal cassetto.

Com’è essere al via dell’ennesima stagione?
«L’emozione che provo da un certo punto di vista è la stessa degli inizi, ma ho un altro spirito e un’esperienza maggiore alle spalle quindi in qualche modo parto avvantaggiato rispetto a quando ero un ragazzino. Mi conosco meglio e, valutando gli errori commessi nei dodici anni precedenti, posso mi­gliorarmi. La voglia di mettermi in gio­co e soffrire forse è quasi maggiore ri­spetto a quella degli inizi, o per lo me­no è diversa, perché conto su un’altra mentalità e su una maggiore maturità».

Anno dopo anno diventa più difficile stare lontano dalla famiglia o ci si abitua a questa vita da giramondo?
«Anche se i bimbi crescono e iniziano a capire che il papà per lavoro viene e va, resta complicato. Ormai conoscono il mio lavoro, i periodi più o meno im­pegnativi della stagione e sono abituati a vedermi con la valigia sotto braccio. Per assurdo, quando torno a casa scombussolo io i loro piani, i loro orari e le loro abitudini. Giacomo ha ormai 10 anni, Giorgia 5. Il grande, che ha praticato ciclismo per due anni ma senza grande interesse tanto che alla fine ha decisamente preferito il pallone alla bici, è un vero coccolone ma è an­che un po’ più vergognoso della sorellina, che si diverte con la danza e sul ca­lendario di casa fa regolarmente il con­to alla rovescia del tempo che manca al mio ritorno, marcando con una croce ogni giorno che passa. Il mio tempo libero lo trascorro interamente con la famiglia, faccio del mio meglio per es­sere un marito presente per Claudia e un papà che trascorre tempo di qualità con i suoi figli. Quando ritorno dalle corse mi si attaccano al collo come cozze, ma dopo qualche giorno che mi vedono per casa mi chiedono quasi scocciati “quand’è che vai via?” perché, come ti dicevo, sono un elemento di disturbo per la loro routine (sorride, ndr)».

Apriamo e chiudiamo velocemente la pa­ren­tesi sulla vicenda Astana.
«Non c’è molto da dire, con il team kazako non avrei potuto correre sino al 2 maggio 2014, in virtù della loro adesione al Movimento Per un Ciclismo Credibile (il cui regolamento prevede che un corridore non possa competere con un team WorldTour sino a due an­ni dall’ultimo giorno della sua squalifica e quella di Pellizotti si era esaurita il 2 maggio del 2012, ndr). Per farla bre­ve, le trattative si stavano dilungando troppo, così ho parlato con Savio e ab­biamo risolto il tutto, decidendo la mia conferma alla Androni senza dare adito a troppe polemiche, ma con la voglia di tornare ad allenarmi in tranquillità. In questa squadra ho trovato davvero un porto sicuro, con Gianni ho instaurato un rapporto speciale tanto quanto con il direttore sportivo Giovanni Ellena, con gli sponsor, i compagni, lo staff. Insomma qui sto bene quindi non ho rimpianti».

Sei il vecchietto del gruppo...
«Devo dire che mi sembra strano essere definito così, non mi ci vedo in questo ruolo, anche se per motivi anagrafici è giusto che sia considerato uno dei più esperti in squadra. Abbiamo tanti giovani che hanno grandi margini di crescita, sono felice di poter essere loro d’aiuto. Spesso mi chiedono consigli, mi cercano per avere delle dritte, io dal canto mio cerco di segnalare loro eventuali errori, in primis racconto quelli che ho fatto io per non farglieli commettere a loro volta e cerco di rispondere alle loro curiosità con piccoli aned­doti che possano servire loro per capire come affrontare certe gare, in particolare le corse a tappe, come allenarsi, alimentarsi, riposarsi...».

Dei giovani, chi ti ha impressionato?
«Gianni ha fatto una bella campagna acquisti, riuscendo a ingaggiare i mi­gliori dilettanti in circolazione. Tra tutti penso al velocista Andrea Zordan e allo scalatore Gianfranco Zilioli che ha già dimostrato di potersi imporre nella massima categoria. Ne abbiamo anche altri promettenti, che ammetto però di conoscere meno. Ho saltato il primo ritiro che il team ha svolto a Cesenatico e quando ci siamo ritrovati a gennaio, parte della squadra era già a correre in Argentina mentre i venezuelani erano ad allenarsi a casa. Avrò mo­do di scoprirli man mano e sono certo ne sentirete parlare anche voi quanto prima perché, adottando lo stile di cor­sa combattivo tipico della nostra squadra, si metteranno in mostra presto».

E dei nuovi arrivati più esperti, che ci puoi raccontare?
«Degli stranieri posso dirti che hanno un’altra mentalità rispetto alla nostra, l’ho notato fin dal Giro del Mediter­ra­neo. Hanno un approccio diverso ri­spetto a noi nel preparare le corse, nel mangiare, nel modo di correre. Per esempio, noi siamo attentissimi all’alimentazione mentre loro sono decisamente più naif. Vogliono dimagrire? Allora eliminano dalla loro dieta la pasta, ma poi mangiano senza farsi troppi problemi tre pezzi di pane in più o mezzo pacco di cereali. Capisci cosa intendo? Abbiamo abitudini differenti. Lo stesso discorso vale per quanto ri­guarda la bici: io, se le misure sono giuste, mi fido dei meccanici e stop, Hoogerland è sempre lì a toccare le le­ve, ad alzare o abbassare la sella, a cambiare la lunghezza della pipa e chi più ne ha più ne metta. Detto questo, Johnny è un ragazzo molto disponibile e come tutti gli altri si sta inserendo al­la grande nel team. Sta studiando l’italiano e noi cerchiamo di coinvolgerlo il più possibile usando quel che conosciamo d’inglese,: l’arrivo di questo gruppetto di olandesi fa bene anche a noi».

Le tue ambizioni per il 2014?
«La voglia di far bene è tanta, sono partito con il piede giusto. Le prime corse mi hanno confermato che quest’inverno ho lavorato bene e la condizione è buona. L’obiettivo della mia prima parte di stagione è senz’altro il Giro d’Italia, anche se non so ancora se curerò la classifica generale o punterò solo alle tappe. Vedremo un po’ dopo le prime frazioni come mi sento e se in quelle decisive riuscirò a tenere il passo dei migliori. E affronterò il Giro del Trentino per arrivare alla corsa rosa nella condizione migliore».

E il percorso del Giro l’hai già studiato?
«Non ancora nel dettaglio, ma l’ultima settimana si snoderà interamente vicino a casa quindi conosco bene ciò che propone il programma. Ho già provato la tappa con arrivo a Savona e visionato la cronometro Barbaresco-Barolo, prima del via ufficiale di certo avrò percorso tutte le fasi più importanti. Le ul­time frazioni sono molto belle, quella che mi piace di più è la penultima con l’arrivo sullo Zoncolan che per me ha un valore speciale. Se proprio devo scegliere una tappa penso a quella, ma al Giro ogni tappa ha il suo valore e sa­rebbe magico vincerne una come un’altra».

Ti preparerai anche in vista del Cam­pionato Italiano?
«La condizione verrà come conseguenza dopo aver pedalato per tre settimane a tutta al Giro d’Italia. Finita la corsa rosa non riposerò subito, ma tirerò drit­to per mantenere la gamba. Sapete che la sfida tricolore è una corsa im­portante per me e la squadra ci tiene molto, quindi voglio arrivarci in ottima forma. Alla fine di quest’anno sarò felice se la stagione sarà andata come speravo quando ho attaccato il primo dorsale dell’anno. Non pretendo grandi cose, ma una volta tirata la linea vorrei essere soddisfatto e sicuro di aver dato tutto quello che avevo, indipendentemente dai risultati sarebbe un bilancio positivo».

Ripercorrendo la tua carriera, qual è la prima immagine che ti viene in mente?
«La primissima è la maglia tricolore vinta a Borgo Valsugana nel giugno 2012 dopo un periodo molto difficile della mia vita. La seconda che mi sovviene subito dopo, ma temporalmente in realtà è precedente, è la sospensione. Sono convinto che anche i brutti momenti vanno ricordati perché, nonostante il dolore che ci hanno causato, ci aiutano a crescere e ci insegnano tante cose. Cosa ho imparato io? Che non bi­so­gna mai voltarsi indietro a guardare al passato: è meglio mettersi alle spalle quanto abbiamo già vissuto cercando di trarne vantaggio per dare il meglio di sè nel presente e nel futuro».

Per quanto ancora pensi potrai correre ai massimi livelli?
«Sai, questa è una domanda che mi faccio spesso: a gennaio ho compiuto 36 anni e per forza di cose devo iniziare a pormi certi interrogativi, anche se vedo altri ragazzi più vecchi di me che riescono ancora a fare molto bene e con la loro esperienza aiutano questo sport. Fin­ché la voglia di correre è quella che avverto ora, andrò avanti ma prima o poi dovrò fare i conti con l’età. E do­po? Ci sto pensando, anzi ci stiamo pensando, e quando parlo al plurale mi riferisco alla mia famiglia perché, oltre che un atleta, sono prima di tutto un marito e un padre. Con Claudia e i no­stri bimbi non abbiamo ancora un programma chiaro per quando appenderò la bici al chiodo. Sarà che non mi sento ancora un vecchietto pronto per la pensione...».

di Giulia De Maio, da tuttoBICI di marzo
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