Ballan presenta ricorso al TAS: «Credo nella giustizia»

PROFESSIONISTI | 25/03/2014 | 09:47
Non vuole lasciare così il ciclismo. Non vuole che la sua immagine venga distrutta per un caso che presenta perlomeno qualche alone. Alessandro Ballan, il campione del mondo di Varese 2008, squalificato due anni dal Tna (Tribunale nazionale Antidoping) per violazione dell'art. 2.2. del Codice Wada (uso o tentato uso di una sostanza vietata o di un metodo proibito), ha presentato ricorso al Tas, il Tribunale arbitrale dello sport. L'atleta veneto è difeso dagli avvocati Federico Cecconi e Fabio Pavone.

«Io all'epoca mi sottoposi ad ozono terapia, ma stavo male ed ero regolarmente stato sospeso dal medico della mia società per 45 giorni - ha detto a tuttobiciweb il corridore di Castelfranco Veneto -. Dico solo che la pena che mi è stata inflitta è un'enormità. Io so di essere dalla parte della ragione e soprattutto credo ancora nella giustizia sportiva».

Alessandro Ballan, in attesa di una sentenza breve e risolutiva, è tornato ad allenarsi con profitto e entusiasmo. «La bicicletta mi ha dato tanto e sento di poter dare ancora qualcosa. Una cosa è certa: non voglio lasciare in questo modo un mondo che io amo profondamente».
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COMMENTI
forza!
25 marzo 2014 10:56 geo
Ballan, l'unico corridore che negli ultimi anni ha saputo regalarci delle soddisfazioni nelle classiche Belghe, spettacolare e generoso. Ritengo una ingiuistizia a lui perpetrata: in qualunque altro stato nazionale non sarebbe stato squalificato, ma in Italia ci vogliamo male.....

SAGGEZZA POPOLARE
25 marzo 2014 11:54 tonifrigo
Dalle mie parti si dice: <Se tutti i becchi gavesse un lampiòn, hoi mama mia che illuminassion>. Perchè proprio lui?

Giustizia o Ingiustizia
25 marzo 2014 12:27 angelofrancini
Le regole su cui dovrebbe basarsi la Giustizia sportiva sono solo quelle scritte negli Statuti e nei Regolamenti di ogni singola Federazione, mentre oggi la Giustizia sportiva è amministrata da Persone che nello svolgimento di tale compito non fanno quasi mai riferimento a quanto prevedono le predette regole.
Persone che sul piano della professionalità giuridica non sono in discussione, ma la cui competenza specifica nella materia sportivo/regolamentare è assolutamente insufficiente per affermare che facciano GIUSTIZIA.
La formula che, imposta dal CONI, negli organi di Giustizia sportiva debbano esserci solamente laureati in giurisprudenza, sovente neanche tesserati alla federazione in cui sono chiamati ad operare, è superata: va rivista prevedendo l’inserimento nei Collegi giudicanti di persone che hanno conoscenza delle regole sportive e possano spiegarle a questi Giudici.
La Giustizia sportiva gestita nel modo attuale diventa solo INGIUSTIZIA, disattendendo quei principi fondamentali che sono alla base dell’AUTONOMIA che le Leggi dello Stato gli affidano: si giudica applicando metodi che nulla hanno a che vedere con quanto dicono le norme sportive, che alla fine vengono sovente disattese od ignorate.
Ed allora a cosa serve “questa” Giustizia Sportiva?
A nulla in quanto per avere Giustizia contro le sue ingiuste decisioni si finisce sempre nei Tribunali ordinari (Tar, Consiglio di Stato, ecc.) con grandi spese per tutta la inutile trafila imposta in ambito federale: limitiamo allora la Giustizia sportiva ai fatti tecnico/disciplinari di minore entità.
E’ recentemente stata pubblicata una decisione di un Organo di Giustizia che fa a pugni con le regole sportive nazionali ed internazionali, piena di citazioni e termini legali in latino, ma priva di quei riferimenti PRIMARI e DECISIVI alle norme sportive: ben scritta nella forma, ma assolutamente contrastante nella sostanza con quanto stabiliscono quelle norme sportive!

Assistiamo a vicende di corridori professionisti che, per tutelare i loro interessi, sono costretti a fare ricorso all’Arbitrato UCI, ove il giudizio viene emesso sulla base del diritto privato svizzero: quando invece la questione concerne due soggetti che sono dipendenti della FCI, ove uno è l’Affiliato e l’altro il Tesserato.
Vediamo atleti che avrebbero diritto ad un trattamento economico stabilito dalla Legge che non vi possono accedere per inadempienza della loro società di appartenenza, senza che nulla accada.
In Italia esiste una delibera del CONI (912° Giunta Nazionale di applicazione della Legge 91/81) che prevede che il controllo sulla gestione delle società professionistiche sia affidato ad un organo di controllo federale, nella FCI è la Co.Vi.Sp. (ossia la Commissione di Vigilanza sulle Società Professionistiche): ma hanno rilevato queste inadempienze o hanno acquisito il parere della società di Lugano incaricata dall’UCI, che fa i controlli sulla base della Legge svizzera?
Il problema è che per contrastare queste assurdità il “tesserato” deve ricorrere all’ALTA CORTE DI GIUSTIZIA o al TNAS del CONI e poi eventualmente al TAS di Losanna, con costi che partono da un minimo iniziale, incluse le spese legali, di 3.000/4.000 euro a seconda che si sia nel dilettantismo o nel professionismo: alla faccia appunto di quei Principi di Giustizia Sportiva (CONI – delibera 1412 C.N. del 19-10-2010) che prevedono siano garantite condizioni di parità!
Ma la formula del sistema attuale di gestione della giustizia in ambito sportivo è stato creato per far si che pochi, dato gli sproporzionati costi, facciano ricorsi!
E quindi, nel rispetto di quelle condizioni di parità, solo i ricchi possono permetterselo!

Grazie, Angelo
25 marzo 2014 22:43 gianni
Grazie, Angelo per aver chiarito, su basi concrete, come stanno le cose. E' ovvio che la lotta al doping vada fatta, senza mai abbassare la guardia. Non per questo bisogna punire chiunque tanto per dare delle lezioni. Ciao.
gianni cometti Cureggio (Novara).

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