INCHIESTA | 23/11/2013 | 08:22 La rivoluzione sanitaria è scoppiata il 9 ottobre scorso. E abbatte uno dei pilastri delle nostre squadre: per le categorie dilettanti e juniores, infatti, sparisce l’obbligo di avere un medico sociale. Recita il nuovo testo «Norme della salute degli atleti ciclisti 2014» al punto 9 e 10 della premessa: «Per gli atleti non professionisti inseriti nel ranking federale l’osservanza delle Norme sulla Tutela della Salute della FCI, di cui al presente articolo e successivi, è obbligatoriamente garantita dal Medico di Fiducia, scelto dall’atleta tra i laureati in medicina e chirurgia che risultino iscritti all’albo professionale e che non abbiano riportato condanne penali o sanzioni disciplinari di durata complessiva superiore a 12 mesi e/o condanne o sanzioni disciplinari per fatti di doping. I Medici che assumono l’incarico di Medico di Fiducia degli atleti di cui al comma precedente devono tesserarsi per la FCI per la stagione di riferimento. Contestualmente al tesseramento, il nominativo di tali medici viene inserito in apposito elenco depositato presso la Federazione Ciclistica Italiana. La sopravvenuta perdita o comunque il venire meno dei requisiti prescritti al comma precedente, in epoca successiva all’assunzione dell’incarico, comporta l’automatica inibizione allo svolgimento dell’incarico di Medico di Fiducia». Sparisce quindi l’istituto del medico sociale, ma cosa accadrà in seno ai team? Rossella Di Leo è la responsabile organizzativa del Team Colpack (dilettanti), della Uc Bergamasca 1902 (juniores) e del team amatoriale che conta più di 60 atleti. Il suo parere può risultare quindi interessante perché la nuova norma la vede coinvolta a 360 gradi: «Prendiamo atto della decisione assunta dal Consiglio Federale, ma all’atto pratico per noi non cambia niente: continueremo ad affidarci al dottor Claudio Sprenger, che da anni è il medico sociale dei nostri team. Sarà lui a seguire i nostri ragazzi, dilettanti o juniores che siano. Sì, perché noi sottoponiamo ai test anche gli juniores: è una nostra scelta personale, sebbene non sia più obbligatoria». Come valuta, comunque, la figura del medico di fiducia? «Mi sembra molto confusa. Per essere tale, il medico si deve tesserare per la Federazione: non è una cifra elevata, ma quanti medici saranno disposti a farlo? Senza contare la competenza che possono avere nello specifico, visto che è richiesta la laurea in medicina e chirurgia, senza la specializzazione in medicina dello sport. Ma c’è di più...». Dica. «Le squadre che sono interessate ad un ragazzo per farlo passare al professionismo, ci chiedono la cartella clinica e pretendono di avere i risultati di nuovi esami del sangue effettuati nel giro di due giorni. Come puoi riuscirci se non hai il medico sociale e gli istituti di riferimento? Un medico di base non può garantire lo stesso risultato. E non è finita qui». Sentiamo. «Il medico di base non può prescriverti esami dei quali non hai bisogno per una patologia di cui non soffri, quindi un ragazzo che si affida a lui alla fine è costretto a pagare. E allora che differenza c’è rispetto a quanto succede oggi? Mi preoccupa molto, invece, quanto può succedere per gli amatori: per concedere licenze e tenere sotto controllo atleti di tutte le età con le più diverse storie personali e sociali, servono medici specializzati, non possiamo rischiare che si ottenga un certificato così come accade purtroppo per la patente: “Ci vede? Bene? Ecco, questo è il certificato”. È troppo pericoloso». Se Rossella Di Leo ha una visione più ampia, visto il numero di corridori che segue, l’attenzione di Luciano Rui è concentrata invece sulla categoria dilettanti, della quale con la sua Zalf Euromobil Fior è protagonista da oltre trent’anni. «Francamente non capisco come sia stato possibile gettare alle ortiche tutto quanto di buono era stato fatto in questi anni. Il medico sociale è indispensabile in una squadra e, a mio parere, non è risparmiando su questa voce che si permette alle società di respirare, rilanciarsi e ripartire. Avevamo la possibilità di costituire un pre-passaporto biologico con la storia clinica di un atleta da juniores e dilettante prima del passaggio al professionismo ed ora invece tutto viene cancellato con una decisione che francamente non riesco a capire». Voi cosa avete deciso di fare? «Continueremo ad affidarci allo staff medico coordinato dal dottor Fulvio Susanna e dal dottor Loris Confortin: lavoriamo insieme da anni con reciproca soddisfazione, portiamo avanti un discorso di massima pulizia con i nostri ragazzi e vogliamo continuare su questa strada. Anche perché questo è quanto ci chiedono le squadre dei professionisti quando sono interessate ad un nostro ragazzo: prima di intavolare qualsiasi trattativa, vogliono esaminare la cartella clinica dell’atleta e conoscere la sua storia sotto tutti i profili. Per questo dico che non capisco la decisione di non rendere più obbligatorio il medico sociale per i team juniores: penso che alla fine a pagare dazio saranno proprio i corridori, che rischiano di essere penalizzati». La nuova normativa dedica ampio spazio, come è giusto che sia, ai professionisti, ma anche ai corridori inseriti nel ranking federale formato, in base alle convocazioni in nazionale, da atleti delle categorie junior, under 23, élite, professionisti, donne junior e donne élite oltreché dai paralimipici di interesse azzurro e tutti coloro che ne fanno domanda. Per loro c’è l’obbligo di sottoporsi - alla faccia dei controlli a sorpresa - nei mesi di febbraio, maggio e settembre ai seguenti esami: emocromo completo, reticolociti, ferritina e testosterone. Ai corridori spetta l’obbligo di fornire copia dei risultati al proprio medico di fiducia e di conservare personalmente i referti per cinque anni. Un particolare che sembra incredibile e che sposta il centro del discorso relativo alla storia di un corridore: ad archiviare i dati non è più la federazione o un ente terzo, ma il corridore stesso... a carico del quale, se non ha un accordo con la sua società, c’è anche il costo dell’operazione.
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