
Non gli manca il sense of humour: «Sono diventato più famoso con una caduta che con i risultati». Ma sa di aver rischiato grosso: «A volte, ci penso: portavo il casco, ma era pur sempre un tombino di 20 kg. Se mi avesse colpito alla testa, che cosa sarebbe successo?». Andrea Vaccher sta meglio. Racconta, riflette, persino scherza. Porta visibili i segni dell'incidente, ma il peggio è alle spalle: martedì 1º ottobre lo sfortunato corridore della Marchiol è stato dimesso dal Ca' Foncello, dove era stato ricoverato dieci giorni prima e sottoposto a un lungo intervento (sei ore) di chirurgia maxillo-facciale. Era arrivato in ospedale con il volto sfigurato a seguito dell'incredibile caduta nel Trofeo Bianchin e causata da un tombino scoperchiato dal precedente passaggio di un altro atleta. Come prassi, la famiglia del 24enne di Ponte della Priula, nipote di Moreno Argentin, ha incaricato un legale e un perito. Ma non ci saranno strascichi: c'è stata subito collaborazione fra tutti le parti coinvolte, a partire dal Comune di Ponzano, per la copertura assicurativa.
Vaccher, come sta?
«Adesso mi sento meglio. Ho fatto un bel recupero: sono giovane e la ripresa è più rapida. I ciclisti hanno la pelle dura. L'unico problema è legato al mangiare: solo liquidi o alimenti morbidi. E devo spalmare ogni giorno una crema protettiva per il sole. Il viso è comunque dilatato e ci sono i punti: me li tolgono giovedì (domani, ndr). Sto aspettando che diminuisca il gonfiore di naso e labbra. Ho fatto una prima visita dal dentista, ne ho otto da sistemare. La caduta mi ha contratto i muscoli di scapola e schiena: sto lavorando dal fisioterapista. So che devo avere pazienza: fra otto-nove mesi si valuterà lo stato delle cicatrici e potrei sottopormi a un altro intervento».
Che conseguenze ha riportato al volto?
«Una lieve frattura al naso, che mi è stato subito raddrizzato. Tagli ed escoriazioni, otto denti rotti, scorticati labbro superiore e fronte, che mi sono stati ricuciti. Si era tagliata anche la lingua, ma la ferita si è rimarginata presto. Tutto sommato, è andata abbastanza bene».
Che ricordo ha della caduta?
«Non ricordo nulla, né dell’incidente né del ricovero, anche se mi hanno detto che in ospedale ero cosciente. Mi ritorna in mente l'attimo prima dell'incidente, quando avevo affiancato il compagno Chinello. E il momento in cui, il lunedì seguente, mi hanno risvegliato».
La caduta fa parte dei rischi del mestiere?
«Imprevisti che possono capitare, anche se il mio caso è strano: forse quel tombino aveva già qualche problema; come fa, pesando 20 kg, a sollevarsi un metro da terra? Non è mica una foglia».
Il mondo del ciclismo si è dimostrato vicino?
«Modolo e Battaglin mi hanno scritto subito. Mia mamma non ce la faceva più, ha dovuto spegnere il telefono».
Ha voglia di tornare a correre? La Marchiol si è detta disponibile.
«La voglia di riprendere la bici c'è, ma devo ancora pensarci. Non ho paura, perché non mi sono reso conto della caduta. Non so però come risponderà il cervello, al rientro in gruppo. Se ci sarà la possibilità, mi farà piacere proseguire con la Marchiol. Da 20 anni faccio il ciclista, altrimenti dovrò inventarmi un altro lavoro».
Mattia Toffolett, da La Tribuna di Treviso
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