
Una piccola macchia – verde – in mezzo all’Europa. “In nessun altro luogo si trova tanta Europa in uno spazio tanto minuscolo”, “Le più grandi differenze in uno spazio minuscolo”, “Un accumulo di microcosmi, più un favo che un formicaio”. La Slovenia. Tadej Pogacar ne è l’ambasciatore, Ales Steger il cantore. “In Slovenia” è, come recita la copertina del libro (Bottega Errante Edizioni, 224 pagine, 18 euro), “un viaggio attraverso i cinque sensi”. Con lentezza. Con pazienza. Con attenzione. Magari in bici. Meglio in bici. Dunque in bici.
Pagina 174, paragrafo “Andare in bici a Lubiana”, attacco “A dirla tutta, Lubiana, anzi, l’intera Slovenia sembra fatta apposta per andare in bici”. Perché le distanze sono minime, perché rarissimamente le bici vengono rubate (all’autore solo due volte in venticinque anni, e una di quelle due volte l’ha ritrovata a cento metri dal punto in cui l’aveva legata), perché in certi brevi tragitti si arriva prima in bici che con un bus, perché Lubiana era intasata di traffico come Città del Messico e Atene e invece adesso sembra Amsterdam o Copenaghen, perché la politica urbanistica dunque culturale vede nella bicicletta un ruolo centrale sottoponendo le città a “un radicale trattamento di bellezza”. Se non che…
Se non che il modo particolare di andare in bici a Lubiana. Steger sostiene che esiste “un concetto di circolazione unico nel suo genere”, rassicura che “si fa presto ad abituarsi alle regole tipiche dell’andare in bici”, afferma che “ci sono solo due semplici regole alle quali bisogna attenersi, tanto basta per essere armati per la lotta sul selciato delle ciclabili”, la prima “le regole ci sono soltanto finché sono vantaggiose per me”, la seconda “non ci sono regole se non sono vantaggiose per me”, spiega che “è un luogo di coesistenza senza regole chiare e con possibili conseguenze dolorose e multe in caso di infrazione” e suggerisce che “si fa i finti tonti”, “una specie di giungla urbana”.
Steger divide “In Slovenia” in quattro parti: in generale sul particolare (lingua, identità, religione, sicurezza…), i sensi (dalle patate al miele, dal vino alla birra, dall’arte alle imprecazioni…), i paesaggi (colline, bosco, montagne, acqua, Carso, pianura e mare), i luoghi (oltre a Lubiana anche da Maribor a Capidistria, da Tolmino a Caporetto, da Beld a Klagenfurt…).
Propone la Parenzana, che collegava Trieste a Porec (Parenzo), in Croazia, “e sul cui tracciato è stata aperta un’incantevole pista ciclabile”. Il viaggio di Steger è pratico e, allo stesso tempo, letterario. “Pirano mostra la bellezza della malinconia, con le sue scale di pietra consumate che portano al convento dei frati minori di San Francesco e al suo splendido cortile interno con chiostro. Si vaga per le strette calli della città vecchia, piene di un odore di marcio, o nel cimitero situato oltre le mura cittadine, che lo scrittore Ciril Kosmac, nella sua novella ‘Stostollà’, descrive come un luogo magico e fatale”. Il viaggio di Steger è poetico quando cita Scipio Slataper (“Il mio Carso è duro e buono, ogni suo filo d’erba ha spaccato la roccia per spuntare, ogni suo fiore ha bevuto l’arsura per aprirsi”) e ironico (“La New York della Slovenia – non per via dei grattacieli, che a Novo mesto non ci sono, ma perché già da seicentocinquant’anni la città viene chiamata ‘nuova’”). Il viaggio di Steger è personale (“Ricordo ancora gli anni Novanta, quando, da studente di letteratura, arrivai a Lubiana, e presto mi ritrovai nei circoli dei letterati. Allora non si beveva, si mangiava alcol già a colazione”) e di tutti. E si può fare anche da soli, seduti, in casa, leggendo “In Slovenia”.
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