Botta & risposta con Matteo Di Serafino

ANDRONI | 14/10/2013 | 09:43
Dall’Abruzzo con furore.
«Sono nato a Giulianova 27 anni fa, risiedo a Mosciano Sant’An­ge­lo con mamma Bruna, papà Ettore, mio fratello maggiore An­gelo e le gemelle Raissa e Me­lissa, più piccole. Sono l’unico in casa che fa sport».
Caratterialmente che tipo sei?
«Eh, è una parola... (sorride, ndr). Non è semplice descriversi, diciamo che sono un ragazzo normale, tranquillo, calmo. 185 cm per 70 kg, ciclista per caso».
Vale a dire?
«Ho iniziato a pedalare a 10 an­ni, in sella ad una Olmo gialla comprata da papà. La prima ga­ra a Tivoli, feci terzo. Ricordo be­nissimo l’agitazione prima del­la partenza e l’emozione dopo l’arrivo di tutta la squadra per il buon risultato».
A scuola?
«Ci andavo! In tasca, o meglio nel cassetto, un diploma di perito meccanico».
Nel tempo libero?
«Nutro una grande passione per la pesca, quindi appena posso vado al mare. Altrimenti quando non ho impegni trascorro le giornate come qualsiasi ragazzo della mia età: con amici tra musica, film, computer...».
Single?
«No, felicemente fidanzato con Camilla Orsini, laureata in giurisprudenza e per niente sportiva. Nonostante ciò, per amore segue sempre le mie corse».
Sei passato tardi al professionismo. È stato un bene o un male?
 «Ci sono arrivato vicino con due stage nel 2008 alla AStyle Somn e nel 2011 con la stessa Androni, ma per mancanza di spazio e budget dei team non ero riuscito a passare. Sono riuscito a fare il grande salto quest’anno grazie alla Androni Venezuela. L’im­pat­to è stato buono, ho dimostrato di essere all’altezza sia nel lavorare per la squadra che nelle poche volte in cui ho avuto l’occasione di prendere l’iniziativa».
Come corridore sei...?
«Sono un passista scalatore, molto generoso (a volte an­che troppo). Mi ritengo un atleta discreto, devo dimostrarlo coi risultati e lavorando al meglio per i miei capitani».
Com’è cambiata la tua vita da quando sei prof?
«È quella di sempre, solo che so­no meno a casa. Anzi a dirla tut­ta sono sempre in viaggio. Da gennaio avrò preso al­me­no 30 ae­rei».
Scaramantico?
«No, pratico. In valigia non mancano mai le spille per attaccare il numero alla ma­glia».
Una persona a cui dire grazie?
«A me stesso perché nelle ultime tre stagioni da di­lettante è stata molto du­ra e in più di un’occasione ho pensato di smettere per­ché vedevo che per pas­sare più del merito contavano le co­no­scen­ze. Ho tenuto duro, alla fine ne è valsa davvero la pe­na visto che grazie a Gianni Sa­vio e Gio­vanni El­lena posso misurarmi nella massima categoria».
L’avversario che ti ha impressionato di più in gruppo?
«Ho sempre ammirato molto Ivan Basso, ma più che pedalare al suo fianco mi ha fatto ef­fetto trovare in gara Cadel Evans e Thor Hushovd. Vederli dal vi­vo e da vicino non è come in tv».
Il compagno con cui hai stretto un rapporto speciale?
«Vado d’accordo davvero con tutti, ma ho legato in particolar modo con Frapporti, Bertazzo, Ma­laguti e Parrinello, i ragazzi con cui corro più spesso».
Come ti trovi in Androni?
«Come in famiglia, siamo proprio un bel gruppo. Fin dai pri­mi ritiri ho trovato, oltre che dei compagni, dei veri amici, cn cui in gara basta solo uno sguardo per capirsi al volo. Sono davvero felice di indossare questa maglia per un altro anno».
Obiettivi per il finale di stagione?
«Sarò impegnato tra Francia e Italia, chiaramente spero di far bene. Il bello di questa formazione è che ognuno prima o poi, in base alle caratteristiche e alla condizione, ha l’opportunità di “fare la gara”».
Il ricordo più bello che hai legato alla bici?
«Il Campionato Italiano vinto l’anno scorso tra gli Elite e, tornando più indietro, il primo po­dio al Gi­ro­Bio cinque anni fa ad Asiago. Quel giorno ho capito di poter competere coi migliori».
Quello che vorresti avere a fine carriera?
«Vorrei poter dire di aver partecipato al Giro d’Italia, di aver vinto una tappa e una maglia tricolore. Se si sogna, bisogna farlo in grande».

di Giulia De Maio, da tuttoBICI di settembre

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