DOPING | 16/07/2013 | 12:02 La domanda che molti si fanno è: perché gli sprinter come Asafa Powell hanno assunto stimolanti? Sì, dovrebbero dare una migliore risposta allo sparo in partenza, ma vale la pena di correre tanti rischi per un vantaggio così piccolo? Neppure i grandi farmacologi sanno dare una risposta.
«Un’ipotesi – afferma il professor Silvio Garattini, direttore dell’istituto farmacologico Mario Negri – potrebbe essere nello sfruttare la capacità di queste sostanze di allontanare la soglia della fatica, di dare nella fase finale dei 100 qualche metro in più di velocità massimale, che significa centesimi di secondo. Gli stimolanti hanno anche il potere di aumentare la motivazione e la concentrazione. In questo possono servire. Ma non mi chieda se eventualmente possono coprire la presenza di altre sostanze. Noi, nella farmacologia ufficiale certe esperimenti non li facciamo neppure sugli animali».
La novità «Ciò che mi stupisce è che atleti del massimo livello possano commettere questi errori – prosegue Garattini – staff raffinati come quelli che circondano questi campioni non possono non accorgersi che qualcosa non torna nelle prestazioni del loro atleti. Vanno puniti pure loro, medici, allenatori, fisioterapisti che nell’ipotesi migliore sono solo complici. Ma mi permetta di dare un suggerimento: disponiamo di metodi di indagine raffinatissimi a cui nulla sfugge. Personalmente comincerei ad analizzare anche i capelli, che hanno una “memoria” più lunga delle altre parti del corpo e che dicono quali sostanze si sono assunte». Dalle parole del maggior farmacologo italiano emerge un’altra verità, che la farmacologia del doping è molto lontana da quella ufficiale, che percorre strade ben lontane da quelle dei protocolli, senza sperimentazione, solo per il guadagno. Basta aprire internet...
da «La Gazzetta dello Sport» del 16 luglio 2013, a firma Pierangelo Molinaro
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