Un minuto di raccoglimento: il Giro rende omaggio a una grande scomparsa, la tappa di trasferimento. Nessuno la piange, nessuno la rimpiange: ma merita almeno una degna sepoltura. Era la tappa ideale che ci permetteva di mettere subito il disco su queste tappe noiose e inutili, su questi corridori sfaticati che battono la fiacca e su questi organizzatori zucconi che non sanno disegnare i percorsi giusti per la bagarre tanto amata dal gentile pubblico.
Certo da Caravaggio a Vicenza, prima della grande fiammata di Visconti, ci siamo sorbiti lunghe ore di inquadrature amene, di salotti improvvisati, di pedalate stracche e amatoriali, di campioni che si raccontano barzellette e fanno ciaomama alle telecamere. Ce le siamo sorbite e le mettiamo in archivio. Però dobbiamo farlo tranquilli e sereni, almeno questa volta.
In troppe occasioni del passato ci siamo sorbiti di molto peggio. Mezzi Giri e mezzi Tour tutti così, altro che una tappa da Caravaggio a Vicenza. Quanti corridori che mangiano ghiaccioli e che si fermano a salutare il parentado stazionano nella nostra memoria di telespettatori? Davvero siamo subito pronti a spazientirci perché anche questo Giro 2013 ci ha offerto una tappa amarcord del genere gita sociale?
Stavolta non è proprio il caso. In mille altre giornate mi sono volentieri aggiunto al coro degli annoiati e dei delusi. Non qui, non adesso. Questo Giro non lo merita. Non lo meritano i suoi attori. Tutti: protagonisti e comparse, star e comprimari. Se c’è una cosa che questo Giro si merita è il rispetto, perché sin qui non ha mai battuto la fiacca. Forse lo possiamo dire solo grazie al pesante intervento del meteo, che ha saputo rendere truculente persino le frazioni sulla carta più insulse (vedi la Longarone-Treviso). Ma io voglio spingermi oltre. Voglio dire che non è solo l’Era Glaciale di questo Giro On Ice ad aver tenuto su l’interesse e lo spettacolo. Credo davvero che molto ci abbiano messo i corridori, indipendentemente dal gelo e dal diluvio, con questa fame evidente di giocarsi i risultati tutti i giorni, partendo in fuga dal chilometro zero in perfetto stile Tour, scattandosi tra le costole anche nei tratti più anonimi. Da Napoli sin qui, è bastato uno strappo qualunque o una discesa qualunque per scatenarli, grandi e piccoli, uomini di classifica e uomini d’avventura.
E allora cosa vogliamo: vogliamo censurarli subito salendo sul pulpito solo perché da Caravaggio a Vicenza non si scannano come gladiatori sanguinari, limitandosi all’accelerata sull’ultima salitella? Via, cerchiamo di essere giusti. Quando il gruppo fa il lenone fuori luogo, non bisogna esitare a censurarlo. Il pubblico e gli sponsor vanno rispettati, finchè si può. Ma quando un gruppo che per due settimane e mezza si è esaurito in una corsa feroce, tra cadute e glaciazioni, si prende una pausa in vista della tre giorni pesantissima in arrivo, sinceramente mi sembra ingeneroso e persino un po’ idiota indignarsi. L’indignazione va risvegliata per ben altri scandali. Una parentesi di relax in mezzo a un romanzo di sofferenza va concessa. Se la sono meritata. O ce lo siamo già scordato il Giro dell’anno scorso?
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