TURCHIA. Berhane: «Il razzismo nel ciclismo? Io pedalo e basta».

PROFESSIONISTI | 24/04/2013 | 13:58
Ieri è stato il più forte di tutti. Nelle tappa regina del Giro di Turchia abbiamo scoperto un volto nuovo e… nero. Nel ciclismo sempre più internazionale scopriamo la (bella) storia di Natnael Berhane, eritreo classe '91 che al primo anno nella massima categoria sta dimostrando di avere tutti i numeri per diventare un buon corridore e, cosa che lo interessa maggiormente, un modello per i ragazzi africani che grazie alla bicicletta possono cambiare il loro destino.

Raccontaci da dove arrivi.
«Ciao! Ho 22 anni e sono nato ad Asmara (Natnael parla italiano perché ha frequentato la scuola italiana nella sua città d'origine, ndr), ma attualmente vivo a Les Essarts in Francia. Torno a casa d'inverno e quando posso, mi mancano la mia terra e i miei cari, la mia fidanzata e la mia famiglia: mamma Masa che si occupa della casa, papà Brane che lavora l'argento e i miei fratelli, tutti più grandi. Ho un fratello e una sorella che studiano in Svezia e un'altra sorella che invece vive in Eritrea. Io sono il piccolo di casa».

Quando hai iniziato a pedalare? «Nel 2006 in sella ad una mtb, verso maggio ho iniziato con la bici da strada. Chiaramente i miei primi mezzi non erano come la bella Colnago su cui pedalo ora, ma anche se erano di fortuna e li trovavo a scuola o a casa ci passavo sopra le giornata. In Eritrea ci sono tante corse, ogni domenica da bambino io scendevo in strada per tifare i corridori, il ciclismo mi è sempre piaciuto così appena ne ho avuto l'opportunità ho iniziato a correre. Nel 2010 ho concluso al 2° posto il Giro del Ruanda 2010, vincedo la tappa in salita. Nel 2012 e 2013 sono stato Campione d'Africa».

Cosa rappresenta il ciclismo nella tua vita? «Come ha scritto un giornalista italiano (Marco Pastonesi de La Gazzetta dello Sport, ndr) tempo fa, in Eritrea il ciclismo è il pane. Tra i professionisti di africani ora ci sono io, Daniel Teklehaimanot della Orica Greenedge e il nuovo team MTN Qhubeka. Credo che tutti noi dobbiamo fare del nostro meglio per i ragazzi del nostro continente, per dimostrare loro che grazie alla bicicletta si può vivere scoprendo mondi e persone nuove. Sono felice ieri molti africani abbiano potuto vedermi in tv, spero tanti altri ragazzi seguano le mie orme. In Eritrea ce ne sono molti promettenti».

Riuscirai a vincere questo Giro di Turchia? «Magari! Vedremo come andrà la corsa, ci sono 194 corridori da tenere d'occhio, ma spero di sì. La vittoria di ieri per me è stata un risultato sorprendente. Sapevo che la squadra prima della salita avrebbe lavorato per me, ma non avrei mai pensato di lottare per vincere. Ho pensato solo ad andare forte ed ho tagliato il traguardo per primo, con grande felicità».

Come ti immagini la tua carriera?
«Spero di diventare un buon corridore, ma ho ancora tanto lavoro da fare. Nel 2011 e 2012 sono stato a Aigle al centro dell'UCI e ho imparato parecchio, ora sono passato nella massima categoria con la Europcar, quindi sono solo all'inizio della mia strada».

La tua corsa preferita in assoluto? «Sono tutte belle, ma non vedo l'ora di poter provare a disputare un grande giro come il Tour de France o il Giro d'Italia, ma anche le Classiche come la Milano-Sanremo e l'Amstel Gold Race».

In gruppo ci sono pochi ragazzi di colore. Credi nel ciclismo ci siano problemi di razzismo come quelli di cui si parla, per esempio, nel calcio? «Non credo, io non ho mai vissuto episodi particolari, ma se c'è qualcuno che dice qualcosa o mi giudica in modo diverso dagli altri perché sono nero a me non interessa. Dal mio punto di vista il colore della pelle non è una differenza rilevante nella vita di tutti i giorni, figuriamoci quando siamo in sella. Per me siamo tutti uguali, pensiamo a pedalare».

da Göcek, Giulia De Maio

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