Lo stop di Petacchi: è una pausa

PROFESSIONISTI | 24/04/2013 | 12:17
Il telefono è andato vicino al tilt completo. Normale. Alessandro Petacchi ha segnato un’epoca dello sprint mondiale, e l’annuncio — a sorpresa, attraverso un comunicato della Lampre-Merida —di quello che tutti hanno interpretato a caldo come un ritiro dall’attività agonistica ha avuto un impatto mediatico notevole. Ed è destinata ad averlo anche la successiva precisazione: «E’ scorretto dire che mi sono ritirato — spiega Ale-Jet, 39 anni, alla Gazzetta —. Non ho chiuso la porta al ciclismo e non ho idea di quello che mi riserverà il futuro. Questo non è un ritiro, ma una pausa».  Ultima corsa, la Parigi-Roubaix 2013.

Vincente. Formidabile cacciatore seriale di tappe nei grandi giri (48 tra Giro, Tour e Vuelta!), capace  di trionfare alla Sanremo e alla Parigi-Tours, Petacchi ha vinto talmente tanto che è difficile trovare accordo tra le diverse fonti sul numero complessivo dei successi (13 dei quali cancellati per il controverso caso-salbutamolo al Giro 2007).  Ma di fatto, in Italia, solo Moser, Saronni  e Cipollini hanno vinto di più.  Professionista dal 1996, Petacchi è arrivato relativamente «tardi» ai vertici dello sprint — una vittoria  nei primi 4 anni da pro’ — ma poi si è rifatto con gli interessi: il successo su Cipollini al Giro 2003 a Lecce fu un ideale passaggio di consegne e per anni Ale-jet è stato il numero uno della volate, riuscendo a superare anche il grave infortunio a un ginocchio al Giro d’Italia 2006 fino a conquistare la maglia verde del Tour 2010 a 36 anni e a battere ancora l’erede, Mark Cavendish, al Giro d’Italia 2011: anni 37.

Petacchi, la notizia è arrivata del tutto inaspettata e allora le chiediamo innanzitutto: c’è qualcosa che non ha detto?
«No. Se avessi qualcosa da nascondere non le avrei neppure  risposto al telefono. Sarei stato zitto. Non ho problemi con nessuno e non ne ho con la squadra».

Allora come mai ha deciso di fermarsi?
«Non aveva più senso continuare così. Non ho gli stimoli giusti. L’inizio di stagione non era stato neanche male, mi sentivo meglio dell’anno precedente. La vittoria alla Parigi-Nizza poteva arrivare, ho fatto errori che per uno come me sono inconcepibili. La Sanremo era uno stimolo, ma il maltempo l’ha sconvolta. Ho cercato di fare cose nuove, misurandomi con il Fiandre e la Roubaix.  Poi ho pensato: e ora che cosa faccio? Vado al Tour? A fare che cosa?».

Chi sapeva di questa decisione?
«Mia moglie Chiara, i miei procuratori, il team manager Beppe Saronni, la famiglia Galbusera. Basta. Ne abbiamo parlato dopo la Roubaix. Abbiamo rescisso il contratto con la squadra di comune accordo, anche se c’era già più di una parola anche per la prossima stagione. Ma io non me la sento di prendere in giro nessuno».   

D’accordo Alessandro, ma allora perché parla di pausa e non di ritiro?
«Non sto chiudendo la porta in faccia al ciclismo e sarebbe impossibile farlo da un giorno all’altro. In pratica sono 30 anni che pedalo... Ma non è che non ne voglia più sapere di questo mondo. Non è la verità.  Non me la sentivo più di continuare così, questo sì».

E quale potrebbe essere un altro modo agonistico di continuare?
«Mah. Ricordo per esempio che un grande campione come Erik Zabel, nell’ultima fase della carriera, mi tirava le volate alla Milram. Un discorso del genere potrei valutarlo, ma non penso che abbia senso farlo per chiunque. Ci dovrebbero essere le condizioni giuste». Ale-jet non fa nomi, ma è facile pensare a personaggi come Cavendish (Omega) e Sagan (Cannondale). Forse anche a due giovani emergenti come i tedeschi Kittel e Degenkolb, entrambi alla Argos-Shimano. Ipotesi tanto suggestivi quanto molto difficilmente praticabili, allo stato.

Petacchi, anche se non vuole usare la parola ritiro, un flash della carriera con le immagini più belle e quelle da dimenticare se la sente di farlo?
«Non posso che ricordare la vittoria di Lecce al Giro d’Italia su Cipollini, che aveva la maglia iridata (in quel 2003 vinse 6 tappe al Giro, 4 al Tour e 5 alla Vuelta, ndr); e l’urlo  della Sanremo 2005. In negativo, l’infortunio al ginocchio al Giro 2006. Ritornare ad alti livelli dopo un trauma così non era facile. Esserci riuscito è un grande orgoglio».

Quanto ha pesato la famiglia nella sua decisione?
«Mio figlio Alessandro ha cinque anni ed era sempre più difficile salutarlo, uscire di casa, stargli lontano. E’ chiaro che ogni decisione avviene soprattutto in funzione sua. In realtà non ho ancora realizzato bene quello che è successo. Ma di una pausa avevo sicuramente bisogno. Non so ora che cosa succederà. Spero che succeda qualcosa»

di Ciro Scognamiglio, da La Gazzetta dello Sport
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COMMENTI
boh
24 aprile 2013 14:59 cimo
Chi ci capisce qualcosa è bravo!!
Ritiro no, pausa di riflessione ni....boh a 39 anni un taglio netto non ci starebbe male.

rientro
24 aprile 2013 17:52 nikko
e quando rientrerà magari ci dirà che non ha ancora il ritmo gara....

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