Tanti auguri Ercole. Gli 80 anni dell'Elettrotreno di Forlì
COMPLEANNO | 26/01/2013 | 11:26 Una vita agonistica non lunga ma intensissima. «Nessuno come Baldini», ci ha ripetuto più volte il grande Alfredo Martini. Nessuno come l’«elettrotreno di Forlì», capace d’imprese straordinarie: l’oro mondiale, il primato dell’ora da dilettante e professionista, il Giro d’Italia vinto in salita contro gli scalatori, i trionfi in pista e a cronometro.
Ercole Baldini compie 80 anni oggi, essendo nato il 26 gennaio del 1933 a Villanova di Forlì. Lo raggiungiamo telefonicamente in Costa Rica, dove i suoi figli (Mino e Riziero) hanno delle attività, e dove lui ha deciso di svernare fino a marzo. «Qui si sta benone, fa caldo e non mi annoio. Mi spiace solo non festeggiare con qualche nipote questo importante traguardo. Ma l’importante è che ci sia io…», ci dice con la sua consueta e bonaria ironia.
Di famiglia contadina, ciclista e non più studente dal 1951, vinse poco e soffrì molto, anche in senso fisico (due furono le fratture alla clavicola, ndr) fra i dilettanti, sino al 1954, quando venne indiziato come buon metronomo nelle prove contro il tempo e fu chiamato ad inseguire il grande sogno del record dell’ora dilettanti che puntualmente stabilì comprendo in un’ora 44 chilometri e 870 metri. E grazie all’ex tecnico azzurro Giovanni Proietti, nel ’56 diventò campione di tutto: campione d’Italia e poi del mondo dell’inseguimento. Il 19 settembre di quell’anno, ancora dilettante, stabilì il record dell’ora assoluto sulla pista del Vigorelli, facendo meglio di sua maestà Jacques Anquetil: 46 chilometri e 393 metri. E infine, tanto per gradire l’oro olimpico su strada, al termine di una fuga solitaria di oltre 40 chilometri. «Trasformai quella corsa in una prova a cronometro. Prima contro gli altri, e poi contro me stesso», ricorda oggi orgoglioso.
«Non mancarono però le polemiche, perché c’era chi sosteneva che io non fossi un vero dilettante, visto che avevo già in tasta un contratto da professionista con la Legnano. Alla fine, però, prevalse il buonsenso», precisa.
Tre anni sensazionali. Dal 1956 al 1958, nei quali Ercole Baldini, fu davvero imbattibile. «Arrivarono persino a paragonarmi a Fausto Coppi, cose dell’altro mondo… Così, quando la mia stella cominciò a non brillare più, invece di dire che avevo ragione io quando dicevo che il paragone era insostenibile, cominciarono a dire che amavo troppo mangiare, che mi ero imborghesito e che non sapevo più fare la vita del corridore: tutte bugie».
Come si sente a 80 anni? «E’ un traguardo: mi chiedevo se l’avrei raggiunto, ora ci sono».
Come ci è arrivato? «Invecchiando di colpo, non un po’ alla volta: fino a 70 anni mi sono sentito come i corridori che non mettono i pantaloni lunghi nemmeno dopo aver smesso di correre».
Da cosa l’ha capito? «Qualche acciacco, la vista che cala: in gioventù ho approfittato del mio fisico, ora me la fa pagare».
Non si butti giù. «Non farò come Magni che a 90 anni disse: ci vediamo per il centenario. Mi accontenterei di vedere chi vince le elezioni».
Ai più giovani, racconti chi è Baldini. «No, ai più giovani do un consiglio: scegliete il ciclismo».
Motivo? «Anche se si dice che questo è un mondo di dopati, nonostante sulle nostre strade sia pericoloso pedalare, questo è uno sport che, rispetto ad altri, forma uomini migliori».
Cosa glielo fa dire? «Mai visto un ex ciclista sulla pagine della cronaca nera. I corridori, anche quando pedalano nella nebbia, sono leali: ha visto come simulano i calciatori. Chi smette di andare in bici a 22 anni ha comunque frequentato un istituto per gente perbene».
Non è poco. «Non è nemmeno tutto: i migliori con la bici possono anche guadagnare».
Che corridore è stato Baldini? «Forte in pianura, soprattutto sui percorsi dritti: modestamente, per due anni il migliore di tutti, compreso Anquetil».
La chiamavano il treno, l’elettrotreno... «...il locomotore e via dicendo. Furono i giornalisti, dopo una crono vinta nel ’57 al Giro. Quando ho scritto la mia biografia, con Rino Negri abbiamo scelto semplicemente treno».
Ha vinto tanto e in poco tempo: Martini dice ’Nessuno come Baldini’. «La frase di Alfredo non è da buttar via».
Un ricordo particolare? «Ce ne sono tanti. Un giorno un amico mi chiese se Anquetil fosse imbattibile a cronometro, gli risposi che su certi percorsi ero meglio io. Mi organizzarono il trofeo a Forlì: per cinque anni fu l’evento con più spettatori paganti».
Lo schivo Baldini diventò popolare. «Vero. Persino Casadei mi dedicò una canzone».
Cosa rifarebbe? «Tutto ciò cho ho fatto».
L’errore da non ripetere? «Forse non andare al Tour del ’58: ma due mesi dopo vinsi il Mondiale».
Col senno di poi... «Se conoscessi i motivi del brusco calo della mia carriera, saprei rispondere. Sono stato bravo, ma non fino in fondo, forse ho mangiato troppo: purtroppo nel ciclismo i medici che ti fanno stare nel peso giusto sono arrivati tardi. A 72 chili anziché 80, avrei vinto di più».
Cosa invidia al ciclismo di oggi? «Niente: sono uno dei pochi ex convinto che i corridori di oggi con le bici di allora potrebbero vincere il Giro».
Cosa manca del suo ciclismo oggi? «L’umiltà, la voglia di sacrificarsi, la capacità di stare alle regole in tutti i sensi. Oggi la vita spinge i giovani a fare altre cose, al di là della bici».
Cosa serve a questo ciclismo? «Buoni dirigenti. E’ come in un’azienda: se il capo è bravo, funzionano anche i dipendenti. La lotta al doping è giusta, ma eccessiva: si usano metodi tedeschi, esser reperibili 24 ore al giorno in dodici mesi per farsi togliere il sangue è un po’ troppo».
Come uscirne? «Se vogliamo corridori bravi e seri bisogna che lo sia anche chi li guida. Ho sentito che LeMond vorrebbe candidarsi: andrei in America a dirgli che gli sono al fianco».
Che campione le piace? «Mi hanno colpito gli inglesi, che ai miei tempi erano bravi in altri sport: in silenzio, hanno tirato fuori grandi corridori».
Gli italiani? «Sono più campioni sulla carta, soprattutto quella stampata: meno male che i giornali parlano, anche se di campioni qui non ne vedo».
Quale corridore di oggi sarebbe stato bene ai suoi tempi? «Cancellara assomiglia molto a quelli della mia epoca. E’ un treno anche lui».
Ottant’anni da festeggiare con... «Una bella tavolata con la mia famiglia qui in Costa Rica. E pazienza se mancherà qualche fratello e nipote».
Con chi avrebbe voluto festeggiare? «Fiorenzo Magni, col quale siamo stati molto vicini negli ultimi anni: un onore, perchè l’amicizia la concedeva a pochi. Di quelli che ci sono ancora, non faccio nomi: non voglio fare torti».
Pier Augusto Stagi, direttore di tuttoBICI e tuttobiciweb.it
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