COMPLEANNO. Nane Pinarello, i 90 anni della maglia nera
| 10/07/2012 | 09:57 Questa mattina, dopo il caffè, prenderà il suo bastone e andrà a
bottega. Come fa da 60 anni. Giovanni «Nani» Pinarello taglia oggi il
traguardo dei 90 e sembra lo stesso di sempre, con un bastone in più a
sostenere i suoi passi. Secco come un acciuga, il volto segnato dai
sentieri della vita, e la parlata a scatti con l'italiano che si
mescola al dialetto veneto. Il tempo, però, si è incattivito anche con
lui. Fisicamente è un omettino in gran forma, ma i pensieri si sono
impigriti fino a deviare verso un mondo tutto suo, fatto di ricordi
sincopati, del progetto di bici «lunga vita», di Coppi e Indurain, di
Catena di Villorba, il paesino alle porte di Treviso, dove è nato il 10
luglio 1922. E la morte improvvisa di Andrea, il suo figlio più
giovane, nell'agosto dello scorso anno, ha ulteriormente complicato le
cose. Ormai solo la moglie Ida, con la quale pedala da oltre mezzo
secolo, e i figli Carla e Fausto riescono, a volte, a interagire con
«Nani», l'antico corridore che incrociava le ruote con Coppi e Bartali
prima di aprire bottega a Treviso e fabbrica a Villorba per produrre le
bici Pinarello che oggi sono un marchio di assoluto prestigio, un'icona
dell'Italia che produce e riesce ancora ad essere in testa al gruppo,
nel mondo.
Imbianchino Ottavo di 12 fratelli, «Nani» è in qualche
modo fortunato. Lui cresce mangiando anche qualche fetta di carne,
almeno alla domenica, in una campagna povera che vive di polenta.
Riesce ad affrancarsi dal lavoro nei campi guadagnandosi qualche lira
come apprendista imbianchino e poi come meccanico alla Paglianti, che
aveva un negozio di biciclette a Treviso. È un cammino percorso anche
da Binda (stuccatore a Nizza) e da Coppi (garzone di macelleria) e,
come quei grandissimi, Pinarello sogna di correre e di volare con una
di quelle bici che montava dall'alba al tramonto. «Nani» è secco, ma
resistente e veloce. Vince una sessantina di gare giovanili fino a
trionfare nella Popolarissima, classica trevigiana dei velocisti, del
'42. Sarebbe pronto per il professionismo, ma la Seconda Guerra
Mondiale rimanda il suo passaggio. Debutta nel '46, come individuale,
poi dal '47 al '53 corre per Lygie-Pirelli, Stucchi e Bottecchia,
accanto a capitani come Bevilacqua, Robic, Bobet e Geminiani. Vince 10
corse minori, ma partecipa e conclude due Giri d'Italia, nel '49 e
''51. Per la storia del Giro è l'ultima maglia nera. Pinarello chiude
infatti la classifica del '51 e fa il giro d'onore con Fiorenzo Magni,
in rosa.
La svolta Avrebbe corso anche nel '52, ma alla vigilia
del Giro la sua vita cambia. «Succede che Coppi non vuole in squadra
Pasqualino Fornara — ci ha raccontato tante volte Pinarello —.
Ambrosini, direttore della Gazzetta, fa da paciere. Non vuole
scontentare Coppi, ma vuole anche avere Fornara in gara e propone alla
Bottecchia di farne il capitano. La squadra però è già fatta e, per far
posto a Fornara, la Bottecchia mi chiede di rinunciare e mi offre 100
mila lire per il sacrificio. Con quei soldi torno a Treviso e rilevo il
negozio di Fuser in centro. Corro un altro anno, ma sono ormai un
produttore e rivenditore di bici...».
Quanti campioni Pinarello fu
quindi pagato per non correre, un po' come Binda al Giro del '30. E ha
saputo trasformare quella delusione nella sua fortuna. Quest'anno
festeggia i 90 anni, ma anche i 60 del marchio Pinarello e i 50 del
figlio Fausto (come Coppi, naturalmente...) che dalla fine degli Anni
70 lo ha affiancato in azienda fino a diventarne il motore e il
regista. Con una Pinarello, Bertoglio ha vinto il Giro '75, Battaglin
quello dell'81 e Grewal l'Olimpiade '84. Ma è con Indurain che il
marchio di Treviso decolla. Ora con le bici di «Nani» e Fausto corrono
gli Sky: Cavendish, Wiggins e Froome. L'azienda dà lavoro a una
cinquantina di persone per produrre 25 mila bici e 10 mila telai, che
per l'85 per cento sono destinati al mercato estero, con un fatturato
intorno a 50 milioni di euro. Fausto Pinarello ci ha messo tanto del
suo, allargando il solco tracciato da «Nani» fino a farlo diventare
un'autostrada che porta Treviso sulle strade del mondo, ma non
dimentica il mantra del papà: «Qualità, qualità e qualità, perché una
bici da corsa ha a che fare coi sogni e chi la compra si aspetta il
massimo...».
da «La Gazzetta dello Sport» del 10 luglio 2012 a firma Pier Bergonzi
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