BOTTA&RISPOSTA con Andrea Di Corrado

| 03/07/2012 | 08:53
Prima domanda: hai ritrovato le chiavi della macchina?
«No, sono davvero sbadato. Do­po esser partito per il Giro di Turchia ho passato giorni a cercarle, ma senza successo. Per fortuna quando sono tornato all’aereoporto di Bologna la macchina c’era ancora e, grazie alle chiavi di scorta che mi ha portato mio fratello, sono riuscito a tornare a casa. In compenso come molti altri ho dovuto aspettare qualche giorno la valigia, ma questa volta non per colpa mia, ma di Tur­kish Airlines. Nella vita di tutti i giorni sono parecchio distratto, ma in gara mi trasformo: concentrato, determinato e pronto a dare il massimo. E qualche volta mi va bene».
A parte chiavi e valigie, in Tur­chia ti è andata benissimo.
«Ho vinto, tutto solo, la quinta tappa da Marmaris a Turgutreis attaccando a 10 chilometri dal traguardo sui miei compagni di fuga. Non mi aspettavo di poter vincere al primo anno nella massima categoria, è stata davvero una grande gioia. Ho ricevuto tanti complimenti, solo papà in­vece di dirmi “bravo” mi ha chiamato per insultarmi per le chiavi (sorride, ndr)».
La tua forza in più è stata nonno Giuseppe.
«Sì, la notte prima della corsa mi è apparso in sogno. Eravamo mol­to legati, purtroppo è venuto a mancare a febbraio mentre ero in Malesia a correre. Gli avevo promesso che quest’anno mi avrebbe visto al Giro d’Italia, il sogno non si è realizzato, sono sicuro che in quella cavalcata mi ha accompagnato».
Cosa ha rappresentato per te questa vittoria inaspettata?
«Mi ha fatto capire dove posso arrivare, che ruolo posso avere in corsa, e mi ha dato maggiore fi­ducia nei miei mezzi. Credo mol­to in me stesso, ma di vincere al primo anno non me lo aspettavo proprio».
Dove abiti?
«Sono nato a Ponte San Pietro, ma la mia famiglia è di origine siciliana quindi mi sento mezzo ber­gamasco e mezzo siculo. Abi­to a Verdellino con mamma Te­re­sa, papà Salvatore e mio fratello minore Giuseppe, mentre mia sorella maggiore Cristina ha una casa vicino a noi. D’estate si va tutti insieme in vacanza a Ca­ta­nia».
Che tipo sei?
«Ho 23 anni e corro nella Col­nago Csf Bardiani. Mi piace ridere e scherzare, nella vita di tutti i giorni sono distratto, ma testardo e determinato in quello che voglio, gare comprese».
E come corridore?
«Sono un attaccante molto generoso. Preferisco quasi aiutare i compagni che cercare in prima persona la vittoria. Quando vince un mio amico sono davvero felice come se avessi vinto io».
A parte pedalare come trascorri il tempo?
«La maggior parte dei pomeriggi li passo giocando con la mia ni­potina Giulia, mi diverto a farle da baby sitter quando mia sorella è al lavoro. Non ho hobby particolari: ascolto musica, passo ore al computer e mi diverto uscendo con gli amici».
Quando hai scoperto il ciclismo?
«A 6 anni. Papà, che come tutti nella mia famiglia non aveva mai gareggiato, aveva visto dei ragazzini del mio paese in bicicletta e tra i vari sport che mi aveva proposto di praticare io ho scelto il ciclismo. Prima gara da G1 con la maglia della SC Marziali Ver­dellino. Da lì non ho più smesso e la mia famiglia per forza di co­se ormai è appassionatissima di ciclismo».
Cosa rappresenta il ciclismo nella tua vita?
«Da poco un lavoro, da sempre una grande passione, ma non è tutta la mia vita. Oltre alla bici, c’è molto altro».
Chi devi ringraziare per dove sei arrivato?
«Ernesto Col­na­go e tutta la squadra biancoceleste. Se non mi avessero dato fiducia non avrei mai potuto correre coi professionisti, figuriamoci vincere! In 18 anni passati in sella in pochi hanno creduto in me. Alla prima stagione da dilettante per un periodo ho addirittura smesso perché a furia di sentirmi ripetere “non potrai mai essere un corridore” avevo iniziato a crederci».
Per quale motivo?
«Perché sono meno dotato di mol­ti altri ragazzi in gruppo, de­vo allenarmi tanto e non sgarrare mai per essere coi migliori. Non sono nato con le stimmate del campione, ma sarei felice di di­ventare un buon gregario».
Ti alleni con Marco Pinotti.
«Sì, oltre che con l’ingegnere esco spesso coi due Locatelli, Stefano e Paolo. Abitiamo tutti nella stessa zona e siamo amici. Stimo molto Marco, per me è un modello come uomo e corridore. Quando ci alleniamo assieme mi dà molti consigli, è sempre disponibile, ma bisogna dire anche che mi tira il collo perché è davvero forte».
Dai compagni di allenamento passiamo a quello di stanza.
«Dai tempi della Colpack sto con Stefano Locatelli, ci troviamo benissimo assieme perché siamo molto simili e siamo legati da un’amiciza che va al di là della bici».
A quali corse punti quest’anno?
«Spero di far bene nei mesi estivi, mi riferisco in particolare al calendario italiano, e di continuare a dare il massimo per aiutare la squadra».
Come ti immagini nel futuro?
«Se ti riferisci al ciclismo spero di diventare un buon gregario, per quanto riguarda la vita privata, invece, al momento non ne ho idea. C’è tempo per pensarci».

da tuttoBICI di giugno
a firma di Giulia De Maio

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