DA TUTTOBICI. Spartacus Cancellara

| 25/04/2012 | 11:38
Gerrans vincitore, Cancella­ra anche. Non è una questione di punti di vista. È così. Quan­do c’è di mezzo Fa­bian Cancellara, la musica è sempre la stessa: o la “locomotiva umana” del terzo millennio vince, oppure generalmente non perde. Fabian è forza, tenacia, volontà, continuità, sportività allo stato purissimo: è soprattutto spettacolo. E che spettacolo...
È strano, alcuni diranno impossibile, che una gara individuale si concluda con più di un vincitore, eppure la netta impressione di chi ha visto la Milano-Sanremo è stata proprio questa. A brac­cia alzate sul Lungomare Italo Cal­vino è arrivato Simon Gerrans, la volpe australiana lestissima ad incollarsi alla ruota di Nibali in salita e a quella di Cancellara in discesa, ma il mascellone della GreenEdge al traguardo ha dovuto condividere pacche sulle spalle, ab­bracci e complimenti con il “diretto di Berna”.
Fabian Cancellara ha voluto riaffermare la sua classe superiore e il suo coraggio fuori dal comune, e ha obbedito al primo comandamento della Sanremo, quello che in tanti ripetono come un mantra alla partenza e che in pochi, per mancanza di gambe e di volontà, mettono in pratica arrivati in Riviera.
«Per cercare di vincere una corsa, bisogna prima avere il coraggio di perderla».
Spartacus non è un impulsivo, in picchiata dal Poggio verso Sanremo sa­peva che, se si fosse portato dietro i due compagni di avventura, avrebbe molto probabilmente perso. Ma sapeva anche che, se avesse mollato, i tre sarebbero stati ripresi dal gruppo e lui sarebbe arrivato intorno al ventesimo posto.
«Ho dato tutto sapendo che mentre io mi facevo in quattro, gli altri due si nascondevano dietro di me e rifiatavano, ma cosa avrei dovuto fare? Rial­zarmi e accontentarmi? No, io non ragiono così, nel ciclismo e nella vita non mi arrendo mai se non dopo averle provate tutte», ripeteva ancora ansimante dopo la linea d’arrivo. E ripensava al colpo da maestro che gli era quasi riuscito, allo scatto di Ni­bali che lo aveva anticipato di poco, al suo recupero e all’inseguimento del gruppo cui era riuscito a scampare.
«Volevo provare a scattare sul Pog­gio e ad arrivare fino al traguardo e così è andata: di questo sono contento e orgoglioso. Del risultato finale meno, ma lo accetto, e mi godo i complimenti di tutti come se avessi vinto, perché in fondo io mi sento come se lo avessi fatto».
Uno spot vivente per chi non molla mai, nel ciclismo e non solo, e il contrasto con i tanti che all’arrivo se la prendono con le tattiche delle altre squadre è evidente. «Io corro come se non avessi avversari, all’arrivo vedo se qualcuno è riuscito a battermi, e se è riuscito a farlo vuol dire o che è stato più forte o che è stato più furbo di me», sembra dire Cancellara all’arrivo con lo sguardo fiero e la co­scienza pulita di chi ha dato tutto, come sempre.
Lo svizzero non è il tipico capitano da top team, non centellina le risorse per arrivare al massimo nelle sue cor­se, anzi dovunque corre è in prima fila per aiutare i compagni, anche a costo di rinunciare a qualcosa per sé. Come al Tour de France, dove ormai sulle montagne è presenza fissa in aiuto dei fratelli Schleck.
La Sanremo è archiviata, la primavera inizia e oltre alla piazza d’onore nella Classicissima Spartacus ne ar­chivia l’abbrivio con la seconda Stra­de Bianche della carriera e una tappa alla Tirreno, suo abituale terreno di caccia. Non male come inizio di stagione per uno che nel mirino ha mes­so le  amate classiche, quelle che due anni fa ha dominato e che l’anno scor­so lo hanno respinto più per sfortuna che per mancanza di condizione. Il tempo inizia a scorrere per Fabian, che il 18 marzo ha compiuto trentuno anni, e che ad oggi ha vinto due Parigi-Roubaix e un Fiandre.
«Fabian ha tutta la vita per decidere cosa vuol fare da grande - notava due anni fa, dopo lo storico bis, il suo vecchio diesse alla Fassa Bortolo Gian­carlo Ferretti -. Io gli consiglierei di entrare nella storia puntando forte su Roubaix e Fiandre e portandone a casa quante più possibile. Op­pure può decidere, da cane, di trasformarsi in gatto e cercar gloria nel­le corse a tappe o al Lombardia, an­che se questo progetto mi sembra un po’ azzardato».
Sono trascorsi due anni, e in quello scorso, dopo aver dominato Harel­be­ke, antipasto del pavè, Spartacus dal Nord è tornato con un secondo e un terzo posto e tanto amaro in bocca. C’è chi dice che ora non abbia più dubbi, che gli piacciono, come a tutti, Lombardia, Liegi e grandi giri ma che, come direbbe Ferretti, non ha alcuna intenzione di trasformarsi in gatto e di rischiare di restare a bocca asciutta.
In pianura, sul pavè, in discesa è nettamente il più forte del gruppo e nel­le corse adatte alle sue caratteristiche, se va come a Sanremo, ha pochi rivali.
La sua condotta di gara appassiona anche chi non impazzisce per il ciclismo e la prospettiva di diventare uno dei più grandi di sempre nelle classiche di primavera è intrigante e stimolante.
In questa campagna del Nord poi gli avversari appaiono particolarmente motivati e in condizione. C’è Tom Boonen, tornato dopo tre anni ai li­velli che gli competono, che ha una voglia matta di recuperare il tem­po perduto e il trono di mi­glior ciclista belga. C’è Philippe Gilbert che, da par suo, non ha alcuna intenzione di cedere lo scettro e che anzi vuole rilanciare il suo dominio nelle classiche di un giorno puntando forte sul Giro delle Fiandre. Ci sono alcuni giovani interessanti in crescita e alcuni vecchi leoni che non vogliono smettere di stupire. E infine, l’anno scorso insegna, tutti quegli outsider che nessuno considera alla partenza, ma che una certa condotta di ga­ra da parte dei favoriti può portare inaspettatamente alla ribalta.
L’unica certezza però è la presenza di Cancellara fra i migliori, lui che nelle ultime due stagioni è stato presenza fis­sa sul podio di Fiandre e Roubaix e che, anche se non vincerà, darà tutto quello che ha per fare spettacolo come a Sanremo.
Un corridore alla vecchia maniera e con un grande cuore, Cancellara, che fin da ragazzino stupiva i tecnici, oltre che per i suoi mezzi al di sopra della norma, per l’attaccamento alla sua na­zione e ai valori che gli ha trasmesso papà Donato, lucano emigrato in Sviz­zera.
È storia il suo rifiuto di passare professionista prima del termine del periodo di apprendistato co­me idraulico, così come il suo impegno nel prestare il servizio mi­litare con l’esercito in una delicata fase di preparazione della stagione 2007. «Ho sem­pre cre­duto che ci sia una sca­la di valori da ri­spettare e che, nel mo­mento in cui si di­venta una fi­gura pu­b­blica, sia ancora più importante dare il buon esempio», raccontava ripensando al suo periodo di leva durante il ritiro invernale precedente a questa stagione.
In agosto avrà modo di far gioire i suoi connazionali, ci sono le Olimpiadi di Londra e si può star certi che la Loco­mo­tiva Svizzera ha messo nel mirino sia la prova in linea che quella a cronometro. Già a Pechino 2008 è riuscito a portare a casa due medaglie, l’oro a crono e il bronzo in linea, un terzo del totale di quelle svizzere. «E peccato che il CIO abbia depennato dal programma olimpico l’inseguimento individuale su pista, lo aveva già messo nel mirino», si rammarica Armando Ceroni, amico personale di Fabian e voce storica della tv svizzera italiana.
Ciò che colpisce di più di Cancellara è la grande capacità di offrire spettacolo anche quando non riesce a vincere, una peculiarità di solito più dei grandi scalatori che degli atleti con le sue caratteristiche. Eppure è diverso dagli altri, forse perché non ha lo spunto veloce di alcuni suoi avversari, anche se non è fermo in volata, ma più probabilmente perché ci sono giorni, che spesso combaciano con quelli importanti, in cui Spartacus si sente in dovere di far di­vertire il pubblico.
E così in tanti hanno ancora negli occhi alcuni fra i suoi capolavori. Come la vittoria in maglia gialla a Compiègne, guarda caso città di partenza della Rou­baix, al Tour 2007 con un’azione im­pressionante nell’ultimo chilometro a volata già lanciata. O la tripletta Eroi­ca-Tirreno-Sanremo del 2008, o ancora l’attacco in salita, terreno che in teoria non gli è particolarmente congeniale, al Mondiale di Mendrisio del 2009. Per non parlare di ciò che, durante ogni me­se di aprile da ormai quasi dieci an­ni a questa parte, si diverte a combinare su al Nord. Il top è stato il bis del 2010, con l’aggiunta di Harelbeke, an­no in cui ha scherzato con gli avversari e ha di fatto spedito Boonen, il suo ri­vale più temibile, in uno stato semi de­pressivo da cui si sta riprendendo solo adesso.
La potenza di Cancel­la­ra è multiuso, buona per tutte le stagioni, e se ad aprile fa sognare, durante il resto dell’anno non sta certo a guardare. Nel 2009, pur favorito dal percorso non proibitivo, ha vinto il Tour de Suis­se, una corsa a tappe di dieci giorni non troppo consona alle sue caratteristiche e ogni anno si diverte al Tour, aiutando i suoi capitani e vincendo al­me­no una tappa (è successo cinque volte). Set­tembre è mese di Vuelta e di Mondiale, e lui non man­ca mai: ad oggi sono quattro i titoli iridati contro il tempo, senza contare i tentativi di conquistare quella maglia arcobaleno che finora gli è sempre sfuggita.
I risultati contano certo, ma è bello pensare che nel ciclismo, come nella vita, ci sia qualcosa che valga più dei numeri e che il migliore non sia necessariamente chi arriva sempre pri­mo.
Cancellara lo fa spesso, però è uno dei pochi, se non l’unico, capace di trionfare anche quando arriva secondo.

di Francesco Cerruti, da tuttoBICI di aprile
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COMMENTI
TUTTO VERO
25 aprile 2012 13:03 stargate
Come non essere d'accordo con quanto scritto? Soprattutto quando si dice che è "sportività allo stato purissimo". Se così non fosse, avrebbe tirato i remi in barca alla Sanremo (quando i due succhiavano a più non posso), per farli perdere, oppure avrebbe corso ben diversamente al Fiandre e alla Roubaix 2011, quando tutti si erano coalizzati avendo come primario obiettivo quello di far perdere lo svizzero. Tutto vero, confermo,con buona pace di chi vede i motorini nascosti nella sua bici. (Alberto Pionca - Cagliari)

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