MISSAGLIA. «Date spazio ai nostri giovani»

| 01/08/2011 | 09:19
«La mia aspirazione non è stare in ammiraglia: a me piace insegnare il ci­clismo e per farlo devi stare a contatto dei ciclisti, non basta guidare l’auto dietro le corse. Io il ciclismo lo vedo un po’ a modo mio e sono sicuro che molti giovani che passano professionisti si perdono perché non sono seguiti. Nei dilettanti sono seguiti e “coccolati” passo dopo passo, quando poi arrivano tra i prof trovano tutta un’altra realtà e spesso anche chi ha talento finisce col perdersi perché deve gestirsi da solo e non è abituato a farlo. Io, anche se ho attaccato la bici al chiodo nel 2008 alla fine del Giro di Lom­bar­dia, continuo regolarmente a uscire in bicicletta, e spesso lo faccio con Fe­de­rico Rocchetti, uno dei ragazzi che dirigo nella De Rosa Flaminia. E a lui cerco di dare tutti gli insegnamenti che ho avuto io nella mia lunga carriera, cerco di stargli vicino e di aiutarlo nel gestire gli allenamenti visto che è un neoprofessionista. Porto sempre con me quello che in 14 anni di carriera mi hanno insegnato i miei diesse, da Pie­tro Algeri all’ultimo, Marco Bellini».
Parole e musica di Gabriele Missaglia, milanese di Inzago classe 1970 che ora vive a Lodi con la compagna Paola e da quest’anno è alla corte di Fabio Bor­donali nella De Rosa-Flaminia, squadra Professional. “Missa”, così lo chiamano in molti, al ciclismo ha dato tan­to e ha ricevuto altrettanto. 14 anni di professionismo, il passaggio nel 1995 alla Brescialat (guarda caso dove c’era Bordonali…) e la chiusura nel 2008: nel palmarès diverse vittorie, tra le quali le più importanti la Classica di Amburgo, prova di Coppa del Mondo nel 2000, e la tappa di Lido di Ca­ma­iore al Giro d’Italia del 1997. Giù dalla sella è salito praticamente subito in am­miraglia. Nel 2009 è stato il direttore sportivo del Team Utensil­nord Corratec, squadra Continental, l’anno dopo alla Aktion-Mostostal Utensil­nord, team entrambi di matrice polacca.
«Ho iniziato in Polonia perché durante la carriera una delle più grandi amicizie l’ho coltivata col polacco Zbignew Spruch con il quale sono sempre rimasto, e lo sono anche adesso, in contatto. Lui, grazie alle sue conoscenze ha creato queste squadre in Polonia e io con le mie conoscenze di sponsor in Italia ho fatto la mia parte: così abbiamo iniziato a lavorare insieme. È stata una bel­la e impor­tan­te esperienza perché, abituato all’ambiente del ciclismo italiano, mi so­no trovato di fronte ad una realtà completamente di­versa. In Polonia non ci sono la tradizione, la cultura, la scuola, che esistono in Italia. Eppure gli atleti riescono lo stesso a farsi valere, i polacchi riescono a tirar fuori dei validi corridori. È un movimento importante, in evoluzione, basta guardare al Giro di Polonia che è partito in sordina tanti anni fa e adesso è diventata una signora corsa che fa parte del World Tour e che non ha niente da invidiare alle altre».
E poi quest’anno è arrivata la chiamata di Fabio Bordonali con il conseguente ritorno in patria…
«Al di là del rispetto reciproco tra due persone che si conoscono da una vita, io ho esordito proprio con Fabio diesse alla Brescialat dell’indimenticato patron Mario Cioli. Con­clu­sa la scorsa stagione, avevo deciso di prendermi una pausa anche perché mi sto impegnando in altre attività al di fuori dal ciclismo. La chiamata di Bor­donali mi ha offerto la possibilità di fare il direttore sportivo alla De Rosa-Fla­minia e ho accettato volentieri an­che per­ché è la mia prima esperienza in Italia e farla con lui e in una squadra Professional è sicuramente interessante e gratificante».
Quando correvi sei sempre stato considerato molto di più di un semplice gregario, era per tanti campioni il luogotenente ideale, grazie anche all’innato “fiuto”, alla capacità di leggere al meglio tatticamente la corsa. Ora che sei sull’altra sponda come ti trovi?
«A volte tra me e me recito il “mea culpa” perché ragiono come se in corsa ci fossi ancora io, mentre spesso mi trovo davanti ad una realtà diversa, con corridori che non riescono a fare determinate cose per la mancanza di… “gambe”. Io cerco di insegnare ai miei corridori come muoversi nelle pieghe delle corse, ma non è facile anche perché il ciclismo è cambiato. Io ero un battagliero, spesso dovevo tenermi a fre­no, oggi si corre sempre più al co­perto, sempre più per cercare un piazzamento. Ai miei corridori dico che le soddisfazioni maggiori arrivano quando si osa, quando si rischia; ma vedo che nella loro testa questa mentalità non c’è… Penso di essere all’altezza anche di una esperienza in una grande corsa a tappe che ancora non ho fatto come diesse: mi dispiace che quest’anno al Giro d’Italia siamo stati l’unica squadra italiano professional non invitata. Era una bella occasione per far vedere tutti i nostri corridori, per una squadra che investe sui giovani come la nostra la vetrina Giro è indispensabile. Pec­ca­to, speriamo di riuscire ad essere al via il prossimo anno».
In questi tre anni nel nuovo ruolo Ga­briele Missaglia cosa rimpiange del vecchio?
«Mi mancano le grandi corse, le grandi Classiche, le gare di spessore dove ero protagonista. Mi piacerebbe esserci nella nuova veste perché sento che posso dare qualcosa anche non pedalando».

da tuttoBICI di luglio
a firma di Valerio Zeccato

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COMMENTI
dico la mia
1 agosto 2011 16:45 AERRE56
preg.mo sig. missaglia,

un consiglio: interventi brevi e mirati.

complimenti per il suo passato, il suo futuro ciclistico sarà tutt'altra cosa. si dimentichi del passato e guardi al futuro, lasci stare un passato da dirigente che ancora non le appartiene, lasci stare il sig. bordonali, segua un suo percorso. una certa linea non sarà facile, ma servono persone che la percorrano. mi auguro voglia essere fra questi.

io

...
1 agosto 2011 17:32 Fra74
..per seguire certi percorsi ci vogliono i soldi, gli euri...e tanti!!!!!!!!!!!!!

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