LUTTO. Addio a Derksen, l'ultimo dei grandi della pista

| 25/05/2011 | 09:01
E' scomparso ieri ad Amsterdam, alla venerabile età di 92 anni, Jan Derksen, nato nel 1919, l'ultimo monumento mondiale ancora in vita del ciclismo su pista, quello glorioso. Una esistenza trascorsa sui velodromi del mondo, dal 1938 al 1964, Derksen fu
un incredibile esempio di longevità atletica, quasi in competizione con il connazionale Arie Van Vliet, come lui testimone e vittima, almeno a livello sportivo, dei drammatici eventi bellici.
Derksen vinse a 20 anni, nel '39, a Milano il titolo mondiale di velocità dilettanti: in quella edizione, incredibile a pensarci bene, che vide appunto i bombardamenti impedire la volata per il primo e secondo posto, tra i professionisti, fra Van Vliet e Scherens... E fu capace di vincere, Derksen, dopo la guerra, passato nel rango maggiore, ed avversario dichiarato dei giovani Harris, Plattner e Richter, prima che si spalancasse in tutto il suo fulgore Maspes, i titoli dei professionisti nel '46 e nel '57. Già, nel '57, a Rocourt, proprio dinanzi al 'professore' Van Vliet: a 38 anni ! E fu  ancora quarto, Derksen, nel '60 e nel '62. Derksen, figlio e padre di quell'epoca della pista da Grande Spettacolo e d passione immensa, sarebbe poi diventato il manager ed il referente principe delle Sei Giorni. Con il cuore ad Amsterdam. Prima di cedere il timone ad un altro grande, di sport e di garbo, come Patrick Sercu.
 E' giusto immaginarlo, Derksen, in assoluto, dinanzi ad un mondo della pista emblematicamente illuminato, di notte, a rendergli estremo omaggio. Ma noi lo ricordiamo, da un Sud estraneo per tanti, attore invece di giorno e della nostra giovinezza, nei criterium tipo pista a Napoli, su via Caracciolo, del 1 maggio, Festa del Lavoro. Una figura elegante, il sorriso del gentiluomo, ancora in bella vista...
Ce ne parlava così anche Angelo Damiano, lo sprinter napoletano che vinse a Tokyo nel '64, con Bianchetto, l'oro olimpico nel tandem. «Che gran signore, quel Derksen, e chi se lo scorda, pensa che mi invitò a correre, io che ero tanto giovane ancora, la Sei Giorni di Montreal, e sai con chi, con Vito Taccone!».
Un olandese che presceglie una coppia del Sud Italia, un campano ed un abruzzese, per fare felice, beati anni '60, la comunità dei meridionali emigrati in Canadà, resta un massimo traguardo del Buon Cuore... Piccola, lontana, preziosa lezione di civiltà. Dal sentimento enorme, a forma di ellisse, del ciclismo su pista. Nomade, randagio, ma nobile. Quel ciclismo che scavalcò di corsa il baratro della guerra e seppe accendere, ai ritmi di Derksen, il nostro primo dopoguerra. Buona volata in cielo azzurro, caro Derksen.

Gian Paolo Porreca

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