IL RICORDO. Basso: Sassi resterà sempre nel mio cuore

| 14/12/2010 | 08:59
«Aldo Sassi era una persona speciale, che porterò sempre dentro di me». Ivan Basso, 33enne ciclista varesino di Cassano Magnago, vincitore di due Giri d'Italia, deve molto al direttore del Centro Mapei, morto a 51 anni per un tumore al cervello. «Per me è difficile parlare di Aldo, perché ci legava un rapporto non solo professionale. A parte la mia famiglia, lui era la persona più importante che avevo». Era stato Aldo Sassi, infatti, a "ricostruire" fisicamente e soprattutto psicologicamente Basso dopo la sua squalifica per doping in seguito al suo coinvolgimento nell¹inchiesta spagnola Operacion Puerto.
«Era l'autunno del 2007 ed ero a pezzi. Mi avevano squalificato per due anni, sentivo di aver tradito la fiducia della gente e anche dei miei cari. Ho temuto che tutto potesse saltare in aria, di perdere la mia famiglia e di non diventare mai più ciò che avevo sempre voluto essere: un corridore. Fu allora che incontrai Aldo».
Il primo approccio, esclusivamente tecnico e scientifico, fu un test fisico nel Centro Mapei di Castellanza, nel Varesotto. «Ci vedemmo una volta, poi un'altra e già la nostra frequentazione si era arricchita di tanti risvolti umani. Aldo aveva una sensibilità straordinaria, mi chiedeva di me, della mia famiglia, dei miei bimbi. Insomma, della mia vita».
Tra Sassi e Basso si creò lentamente un rapporto professionale fatto anche di stima e affetto reciproci. «Ci vedevamo anche fuori dall'ambito sportivo, spesso andavamo a cena con le nostre famiglie. E diventammo amici. Di lui avevo sentito parlare fin da quando mi ero affacciato al ciclismo, ma non pensavo che fosse una persona così profonda e sensibile».
La migliore, dunque, per aiutare Basso a uscire dal dramma del doping. «Mi aveva conosciuto nel momento peggiore della mia vita, eppure è riuscito a leggere dentro di me e tirare fuori le cose migliori che avevo. Non so quanti altri ce l'avrebbero fatta. Credo che mi volesse bene, come io ne volevo a lui. Fra di noi si era creato un feeling speciale, ma non c'entrano nè le sue straordinarie qualità professionali nè il fatto che io fossi un corridore più o meno bravo. A fare la differenza è stata l'umanità che ci metteva in tutte le cose che faceva». E che l'aveva portato a seguire l'attività di molti altri corridori importanti, come l'australiano ex iridato Cadel Evans, poi più recentemente Cunego e tutta il Team Lampre, infine anche il "ribelle" Riccardo Riccò, la sua ultima grande scommessa.
«È straordinario che fra noi corridori seguiti da Aldo non ci siano mai state invidie o gelosie, anzi. Il motivo è semplice: Sassi non ci ha mai trattati come dei numeri, non ha mai applicato su di noi freddi metodi di allenamento o aride tabelle di preparazione. Tutti noi, per Aldo, eravamo innanzitutto delle persone, verso le quali si sforzava di capire le asperità del carattere, le debolezze, gli errori, le ambizioni, i desideri, riservando a ciascuno un trattamento particolare, un'attenzione speciale e unica, che ognuno portava dentro di sè come un dono personale ed esclusivo, che dunque non poteva suscitare invidia negli altri».
Questa è stata la grandezza di Aldo Sassi: la sua capacità psicologica di calarsi nelle persone - prima ancora che negli atleti - che si rivolgevano a lui per un aiuto o semplicemente per un consiglio. «In un anno e mezzo, Aldo ha saputo restituirmi la convinzione e la forza per coronare il sogno che facevo già da bambino: vincere il Giro d¹Italia». Sono passati appena sei mesi dal secondo trionfo rosa di Basso, sicuramente il successo più importante della sua carriera perché espressione di umanità, trasparenza, sacrificio. E di amicizia. «L'ultima volta che ho incontrato Aldo è stata il 7 dicembre, al Centro Mapei. Dovevo fare il mio primo test stagionale che spesso è anche quello più delicato, soprattutto psicologicamente, perché più metterti subito le ali ai piedi o tarpartele ancora prima di cominciare. Anche per questo motivo Aldo aveva fatto di tutto per esserci. Stava già molto male, la malattia se lo stava portando via, eppure si era fatto accompagnare al Centro dai fratelli, per seguire il mio allenamento e poi restare ancora un po' con me a pranzo. Aveva intuito che non mi avrebbe più rivisto e voleva farmi capire che lui sarebbe stato sempre lì, al mio fianco».
Un uomo straordinario, oltreché un tecnico, uno scienziato, un "professore" - come lo chiamavano in molti - che ha avuto il coraggio e la tenacia per indicare una via nuova al ciclismo ostaggio del doping. «Aldo è stato e resterà un pioniere di un nuovo modo di fare ciclismo, il simbolo di una svolta, di un impegno profondo verso un obiettivo da alcuni dimenticato. Ha posto le basi per un cambiamento, dimostrando che è possibile praticare sport ad alti livelli senza ricorrere al doping. Per questo motivo Aldo Sassi resterà fra noi anche dopo la sua scomparsa. E sarà sempre con me in bici, fino alla mia ultima pedalata. Poi mi accompagnerà tutti i giorni, finché vivrò».

Giorgio Viberti per lastampa.it
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