| 29/06/2010 | 08:58 Massaggi, cena e a letto presto. Il Tour si avvicina.... Si parte sabato dall’Olanda, Rotterdam, la città di Erasmo, il filosofo dell’Elogio della Follia. Ivan Basso arriverà mercoledì pomeriggio, conferenza stampa, massaggi, cena e a letto presto: il Tour de France è già lì. Follia immaginare che lo possa vincere proprio lui come Pantani nel ’98, «Anno Pantastico», il Giro e il Tour, accoppiata di maglie e un posto nella leggenda del Ciclismo? E proprio come nell’estate di quell’anno, con le tifoserie depresse per l’eliminazione dell’Italia dai Mondiali di calcio, sconfitta ai rigori con la Francia e fuori ai quarti di finale? «Mi spiace che l’Italia sia già tornata dal Sudafrica. Mi sarebbe piaciuto di più se loro avessero vinto il Mondiale e io il Tour». Ambizioso? «Io il Tour lo voglio vincere». Perché, vincere un Giro d’Italia come l’ha vinto lei non può bastare? «No, perché io il Tour me lo sento qui, me lo sento dentro, proprio nel cuore. Sembra una frase fatta, lo so. E invece non è così, perché io sono nato con il Tour». Due volte sul podio a Parigi, una volta maglia bianca del miglior giovane. Nel 2006 era pronto per la conquista, ma l’hanno fermata i due anni di squalifica per essersi avvicinato, solo avvicinato, a certi dottori poi famosi come praticoni e dopanti. A novembre di anni ne avrà già 33. «Quando ho vinto la maglia bianca di miglior giovane era il 2002, ero al mio secondo Tour e di anni ne avevo 24. Me lo ricordo da solo perché vuol dire che non ho più molto tempo, al massimo altri due anni». Come si può vincere un Tour? «Con la voglia, la fame di vittoria, e una squadra come quella che si è vista al Giro d’Italia». Quando parla di Tour, è vero, Ivan Basso cambia lo sguardo. Si vede che lo attende come un bambino aspetta il Natale. E il Giro non è bastato. «Tornato dall’Arena di Verona con la maglia rosa ho chiuso un cerchio e là dentro ho lasciato i miei due anni di solitudine, il momento più difficile della mia vita. Ma sono riuscito a rialzarmi, ho messo un punto alla fine di quella storia e ho cominciato a scriverne un’altra. La morale è che non serve piangersi addosso, così non si ripartirebbe più. Guardare avanti, questo è il messaggio». E qui davanti c’è il Tour. «Ci arrivo con un entusiasmo che nemmeno riesco a descrivere, incredibile». Ma il favorito, anche per lei, resta Alberto Contador. «E’ il migliore, ha già vinto tutte le corse a tappe che contano, Giro, Vuelta e Tour. Fortissimo in salita. Fortissimo a cronometro. Un campione come lui nasce ogni 50 anni, però non è detto che sia imbattibile...». E dopo Contador chi ci mette? «Ci mettiamo, in ordine alfabetico, Armstrong, Basso, Evans, Menchov, i fratelli Schleck...». Anche di Armstrong ne nasce uno ogni 50 anni. «Solo uno come lui poteva arrivare sul podio del Tour a 38 anni». Marco Pantani nemmeno lo nominava, lo chiamava «l’americano» e basta. «Io di Lance sono stato tifoso, collega, avversario e sono amico». E l’amicizia conta, al Tour? Magari per battere Contador? «In queste 21 tappe, in queste 5 ore di corsa al giorno, cambia tutto. Ma l’amicizia poi resta». E per lei Armstrong non è solo un amico. «E’ un esempio. E spero di aver imparato da lui come si fa a coniugare bravura, convinzione, preparazione, organizzazione. Uno così ha sempre da insegnare, uno così è solo da copiare». In questi giorni vi siete parlati via Internet, su Twitter. Lei scrive che va a nanna presto, lui che racconta di aver finito, «finalmente», il sopralluogo sulle salite dei Pirenei. «Appena concluso il Giro sono andato con Roman Kreuziger al Col de la Madeleine. Anche quest’anno il primo arrivo sulle Alpi può rivelarsi decisivo». Decisivo anche il ceco Kreuziger, come Vincenzo Nibali al Giro d’Italia? «Abbiamo pedalato e parlato tanto. E’ fondamentale parlarsi. A Nibali e Kreuziger tra un paio d’anni passerò il testimone». Kreuziger che aiuta Basso per un’altra impresa, come quella sullo Zoncolan al Giro d’Italia? «Questo è un Tour con più salite, la cronometro del penultimo giorno potrebbe non essere determinante. Se voglio battere Contador le occasioni sono sulle Alpi e sui Pirenei, sperando nel caldo che mi è sempre stato amico. E pregando che si ripeta la magia dello Zoncolan, quando a 3 km dall’arrivo ho sentito un clic, mi è scattato qualcosa dentro e sono andato via da Evans... Un’immagine che ai tifosi resterà per sempre». A proposito di tifosi. Bastava si togliesse la bandana e Pantani li eccitava. E lei? «Io li guardo mentre pedalo e capisco che diventano il mio motore. Chi ci vede in televisione magari pensa che diano fastidio, che siano così vicini da mettere ansia, ma non è così. E’ il pubblico che ti tiene su, è una simbiosi perfetta, diventiamo la stessa cosa. Per questo, alla fine, comunque sia andata, bisogna sempre ringraziare». Torna al Tour dopo quattro anni da crisi di astinenza, cosa non le piace del ciclismo 2010? «Ci sono problemi come in tutte le famiglie, ma proprio non saprei dire cosa non mi piace». Nemmeno quella specie di cronometro di giovedì a Treviso, quando alle dieci e mezzo di sera ha dovuto autografare maglie rosa per 26 minuti contati, quasi in apnea? «Erano quattro anni che aspettavo la maglia rosa, potrei andare avanti tutta una notte a firmarle. Il guaio è che poi ne risentirei in corsa. E allora mi fermo. Perché da questo momento, per me, esiste solo il Tour...».
da La Stampa del 28 giugno a firma di Giovanni Cerruti
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