La Stampa. Oggi il Mont Ventoux, la resa dei conti

| 25/07/2009 | 13:27
Petrarca ne scrisse «come istupidito da quell’aria insolitamente leggera e dal quel vasto spettacolo». Chi sale il Mont Ventoux in bicicletta ha ben altri sentimenti e spera soltanto che la strada finisca presto, come il supplizio in cui la calura moltiplica gli effetti della pendenza e se non c’è il sole è peggio perché arriva dal mare il «mistral»: qui, il 20 febbraio del 1967, lo misurarono a 320 all’ora, il vento più forte che abbia mai soffiato in Europa. 1967, anno di cronache dal Ventoux. A febbraio per il vento, a luglio per la morte di Tony Simpson. Rimase sull’asfalto, cotto dal sole, dalla disidratazione, dalla fatica e dalle anfetamine: gliene trovarono due confezioni nella tasca posteriore della maglia. Simpson correva nella Nazionale inglese. Oggi avrebbe come compagni Cavendish e Wiggins, allora lo appoggiavano gregari che si staccavano in fretta e se nel finale aveva sete non trovava chi potesse portargli l’acqua. Così bevve dalla borraccia di un tifoso: era cognac.

«Eravamo in fuga, mi voltai e lo vidi già lontano - ricorda Felice Gimondi - Fu l’ultima volta. A sera, in albergo, seppi la notizia: come altri, avrei voluto abbandonare il Tour». Simpson morì e la leggenda della montagna calva trovò il suo appiglio più tragico. Non il solo. «E’ un posto maledetto - sostiene l’ex campione bergamasco -. Non esiste un’altra montagna come quella: mentre sali ti prende l’inquietudine, sei quasi impaurito dal paesaggio. L’aria di mare ha bruciato la vegetazione e, in alto, le rocce si sono trasformate in pietraie che con il sole ti accecano. Ai miei tempi non c’erano gli occhiali era un problema persino tenere gli occhi aperti».

Il Tour scoprì il Ventoux nel ’51 e vinse Bobet. Ci è tornato altre dodici volte, quasi di malavoglia. Non è un bel posto dove andare per un picnic, meno che mai per giocarsi la vittoria che Contador ha in tasca e i fratelli Schleck tenteranno di sfilargli in extremis, per quanto sembri impossibile che Cip e Ciop possano staccare con il loro passo lo spagnolo, re della montagna e dei sospetti. Contador conosce bene il Ventoux. «Tecnicamente è una salita bestiale - assicura Gimondi -. Il finale è ripido ma è la prima parte, nel bosco, che ti frega: devi affrontarla con passo regolare altrimenti non vai su. La prima volta, nel ’65, indossavo la maglia gialla: Poulidor, Jimenez e Motta scattarono e feci l’errore di rispondere agli attacchi. Mi sorpassarono in tanti. Poi, salendo con il mio ritmo, arrivai quarto e salvai la maglia fino a Parigi».

Non sappiamo se il madrileno avrà la stessa saggezza. Il problema è che non ci sono avversari al suo livello. Sarebbe una gran lotta se Armstrong fosse quello del 2000, quando giunse in cima con Pantani e poco elegantemente fece sapere che avrebbe potuto staccare il Pirata negli ultimi metri ma gli aveva lasciato la vittoria per rispettare la sua fatica. Pantani aveva corso con i denti. Staccato da apparire fuori corsa, poi di nuovo sotto, e infine in fuga dove cominciavano le pietraie. Uno così Contador non ce l’ha contro e nemmeno quell’Armstrong, oggi meno arrogante ma meno forte. «Temo che Lance perderà il podio - dice Gimondi -. Mi sa che è finito in riserva». E sul Ventoux non si va senza benzina.

da «La Stampa» del 25 luglio 2009 a firma Marco Ansaldo
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