
Felice Gimondi mi confidava che, se fosse rinato, non avrebbe scelto la strada, ma sentieri, boschi, radure. Anche la sua mamma postina sarebbe stata d’accordo, anzi, felice e contenta: così non avrebbe dovuto immaginarlo schivare camion e pullman, ma dribblare piante e sassi, non inalare biossido di carbonio, ma respirare aria georgica e forestale, non sfinirsi in chilometri, ma divertirsi con salti e acrobazie. Perché la mountain bike è più allegra, più naturale e, soprattutto, più sicura.
Eravamo alla Montagnetta di Milano. C’era una gara. Felix do Mondi (o Nuvola Rossa: così lo aveva soprannominato Gianni Brera) si trovava nella tenda della Bianchi, da general manager nonché ambasciatore del settore corse. E guardava, osservava, studiava, scrutava, godeva di quel pianeta più semplice, più giovane, più elastico, meno conservatore, meno prevedibile, anche meno letterario del suo ciclismo, quello su strada. E travolto dall’entusiasmo dei corridori, dalla freschezza delle corridore, dalla spontaneità della corsa – come un gioco, ripeteva -, sorrideva.
Mi è venuto in mente Gimondi mentre sfoglio e leggo “Mountain bike”, il libro scritto da Brian Lopes e Lee McCormack per Calzetti Mariucci (322 pagine, 35 euro): come perfezionare le abilità tecniche per allenarsi e divertirsi con la mtb. Perché fra le ruote grasse non esistono solo entusiasmo, freschezza e spontaneità, ma anche molta, moltissima tecnica, e molta, moltissima preparazione, e molta, moltissima conoscenza, oltre che molto coraggio e molta tenacia. Più qui che sulla strada. Una distrazione può essere decisiva. E qui può capitare dal primo all’ultimo istante. Perché non c’è istante senza dover fare una scelta, possibilmente prevedendo e anticipando.
Tra corse e corsi, i due autori hanno scoperto che “nessuno può mai dirsi arrivato”, che “tutti possono migliorare” e che “più si migliora, più ci si diverte”, una questione di “più fiducia in sé stesso, più sicurezza, più velocità”, magari applicando il principio 80/20, cioè “l’80 percento dei risultati di ognuno deriva da un nucleo di abilità apprese pari al restante 20 percento”. Su questi principi, Lopes e McCormack spiegano come scegliere l’attrezzatura giusta, come diventare un tutt’uno con la bici, come controllare la velocità, come esprimere la massima potenza, come pennellare qualsiasi curva, come affrontare le discese su tutte le superfici e come affrontare le salite su quasi tutte le superfici, come fare “pumping” (quel movimento dell’intero corpo durante curve, salti, impennate…), impennate e salti, come evitare infortuni e gestire imprevisti, infine come trovare il giusto “flow” (sintonia, spirito, interpretazione…) e come competere da campioni (non solo il corpo, ma anche la mente…).
Lopes e McCormack sostengono che “la mountain bike è fantastica” e aggiungono che “anche quando la prestazione è piena di errori” – paura, tensione, stanchezza – “rimane lo sport più bello del mondo”. Così il loro manuale si pone come una sorta di vangelo a pedali. Ma i due sono anche consapevoli che i manuali non valgono gli istruttori. Però aiutano.
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