
Il 26 giugno scopriremo chi succederà a Giovanni Malagò alla presidenza del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI). I candidati sono 8: Duccio Bartalucci (che ha da poco perso le elezioni per la presidenza Fise), Luciano Buonfiglio (presidente Federazione Canoa Kayak), Franco Carraro (già numero 1 del Coni dal 1978 al 1987 e oggi membro onorario Cio), Mauro Checcoli (due ori nell'equitazione a Tokyo 1964), Pierluigi Camilli (consigliere federale Pentathlon Moderno), Giuseppe Macchiarola (medico sportivo); Luca Pancalli (presidente Comitato Paralimpico) e Carlo Iannelli, padre di Giovanni, che tutti nel mondo del ciclismo conoscono per la battaglia per la giustizia che sta conducendo dal 2019, anno in cui il figlio è mancato per le conseguenze di una caduta in corsa.
Carlo, come è nata l'idea di candidarsi ai vertici dello sport nazionale?
«Casualmente, una mattina, all'alba. Ormai dormo molto poco... Ho letto un'agenzia in cui si dava notizia delle varie candidature, mi sono incuriosito e informato, scoprendo che avevo tutti i requisiti. Con stupore e incredulità ho scoperto che chi si propone alla presidenza del CONI non deve presentare un programma, ma il mio sarebbe ed è molto semplice: voglio riportare l'etica nello sport. La vicenda di mio figlio Giovanni mi ha fatto scoperchiare una realtà orrenda, disumana, agghiacciante, una realtà che credo non sia solo del ciclismo e che nulla ha a che vedere con i valori che dovrebbero sorreggere e supportare lo sport. I valori che mi hanno fatto avvicinare allo sport e al mondo delle due ruote in particolare. Ho presentato ufficialmente la mia candidatura più di un mese fa, ma finora non ne aveva ancora parlato nessuno...».
Chi sono i suoi maestri in ambito sportivo?
«Alfredo Martini, il maestro di tutti noi del ciclismo, e Franco Ballerini. Loro incarnavano perfettamente quei valori etici che sono scomparsi, purtroppo me ne sono accorto quando ho perso mio figlio. La Federazione che dovrebbe tutelare in primis i suoi atleti, soprattutto se giovani, specie se deceduti per colpe altrui, si è subito presentata come controparte di Giovanni, facendo di tutto, con ogni mezzo lecito e illecito, per non far emergere le responsabilità di chi avrebbe potuto evitarne la morte. Nella sentenza civile passata in giudicato si dice che la FCI ha ucciso Giovanni, una vittima innocente, e che il suo incidente non è stato un semplice fatto di corsa. Possiamo dirlo a gran voce perché i magistrati di Alessandria hanno scritto che se ti presenti al via di una competizione accetti ogni rischio, anche quello di morire».
Come definirebbe la sua candidatura?
«Velleitaria e provocatoria, so che non prenderò nemmeno un voto, ma il 26 giugno a Roma nel mio intervento voglio ribadire il concetto che l'etica va riportata al centro dello sport. Le medaglie sono importanti, ma i risultati vengono dopo i valori che trasmettiamo ai nostri ragazzi. I requisiti per provarci ce li ho, nei miei 8 anni di vicepresidenza al Comitato regionale della FCI Toscana sono stato membro della giunta CONI regionale. Non c'è alcuna possibilità che io venga eletto, ma voglio vedere certi personaggi negli occhi. Continuano a sfuggirmi, ma io prima o poi li stano».
Da avvocato e babbo di Giovanni, non sente di aver ottenuto giustizia.
«Ho promosso un causa civile nei confronti della procura federale, in fase di mediazione, la cui udienza sarà il 10 di giugno. Ieri mi è arrivata la comunicazione che Nicola Capozzoli, Ida Blasi e Giovanni Petrella non si presenteranno. Scappano, ma io li acchiappo. Per la morte di mio figlio Giovanni ci sono ancora procedimenti penali in corso, l'hanno resa una vicenda enorme. Si fosse parlato di omicidio colposo l'iter giudiziario sarebbe già finito da un pezzo, invece arriverà ottobre e saranno passati 6 anni. Con la prescrizione avranno raggiunto il loro traguardo, ma sulla coscienza avranno per sempre un ragazzo innocente di 22 anni. La mia candidatura è per i ciclisti di ogni età, di oggi e domani, perché il tema della sicurezza mi interessa davvero, non mi ci sciacquo la bocca. Un processo giusto sarebbe servito anche a questo, invece la sicurezza in corsa resta un tema ignorato. Non ci dovrebbe essere mai più una morte come quella di Giovanni e invece ci sarà perché da ottobre 2019 nulla è cambiato».
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