DIECI FACCE DA LOMBARDIA

PROFESSIONISTI | 12/10/2019 | 07:55
di Angelo Costa

Classica delle foglie morte o mondiale d’autunno che dir si voglia, il discorso non cambia: il Lombardia resta una delle corse più belle. Oltre che la migliore delle occasioni per impreziosire una stagione, se non per salvarla. Mai come quest’anno è buona la prima: molti di quelli che si presentano per conquistarla, fra classiche e grandi giri hanno già riempito la bacheca. A renderla bella e nobile, oltre alla storia e a un albo d’oro fra i più completi, è il senso di sincerità che l’accompagna: qui vince il più forte, almeno fra coloro che un po’ di energie nel serbatoio dopo una stagione intera ne hanno ancora. Basta dare un occhio al percorso: sui 243 chilometri da Bergamo a Como ci sono da affrontare in sequenza colle Gallo, colle Brianza, Ghisallo, Muro di Sormano, Civiglio e, prima di buttarsi sul traguardo, il San Fermo della Battaglia, rispolverato quest’anno dagli organizzatori. Corsa tosta, per uomini solidi e di resistenza: ecco le dieci facce più indicate per domarla.    

Egan Bernal. Vince perchè si è fatto trovar pronto per un buon finale di stagione, perché un percorso così duro gli strizza l’occhio, perché vuol dimostrare di non esser solo uomo da Tour. Non vince perché in classiche come questa l’esperienza ha sempre il suo peso.

Jakob Fuglsang. Vince perché chi è fatto per la Liegi va bene anche per il Lombardia, perché dopo un’ottima primavera sta vivendo un brillante autunno, perché su certe distanze lui cresce quando gli altri calano. Non vince perché difficilmente la concorrenza gli darà spazio quando proverà a lanciarsi da lontano.

David Gaudu. Vince perché da un mese è sempre nelle zone nobili delle corse, perché a 22 anni ha già dimostrato di aver la stoffa del protagonista, perché nella stagione dei giovani emergenti può ritagliarsi una giornata di gloria anche lui. Non vince perché un conto è aiutare Pinot, un altro non farlo rimpiangere.

Philippe Gilbert. Vince perché in tema di classiche resta un docente di fama planetaria, perché dopo un mondiale sfortunato ha una gran voglia di rifarsi, perché su queste strade ha già lasciato il suo marchio due volte. Non vince perché stavolta gli tocca fare i conti con chi è bravo anche a vincere i grandi giri.

Bauke Mollema. Vince perché non teme la distanza, perché le più dure sono le classiche che predilige, perché nell’ultimo mese è sempre stato in prima fila in tutte le corse deputate. Non vince perché anche quando è perfetto trova sempre uno che ha una carta in più rispetto a lui.  

Vincenzo Nibali. Vince perché è la classica che ama di più, perché le ultime volte che l’ha corsa l’ha vinta due volte e un anno fa è finito secondo, perché a questa sua stagione manca il colpo di classe che lo contraddistingue. Non vince perché alcuni rivali sembrano avere qualcosa più di lui.

Primoz Roglic. Vince perché quest’anno a parte il Giro non ha lasciato nulla agli altri, perché a Emilia e Tre Valli ha mostrato di avere una marcia in più, perché così in forma a fine stagione non è arrivato mai. Non vince perché prima o poi anche agli infallibili qualcosa va storto.

Adam Yates. Vince perché è reduce da un ottimo rodaggio in Croazia, perché di quelli che hanno affrontato una stagione lunga è fra i meno consumati, perché prima o poi una classica che conta la azzecca. Non vince perché storicamente questa è una classica che fatica a digerire.

Alejandro Valverde. Vince perché dalla Vuelta in poi non ha conosciuto cali, perché il percorso è di quelli più adatti alle sue caratteristiche, perché è una classica che manca alla sua ricca collezione. Non vince perché ci sono corse che, anche se accarezzi, come a lui è successo due volte, non è detto che riesci a conquistare.

Michael Woods. Vince perché nei finali di stagione fiorisce, perché le classiche più dure sono il suo cibo preferito, perché dopo tanti buoni piazzamenti è venuta l’ora di centrare una vittoria che conta. Non vince perchè gli manca sempre qualche centesimo per arrivare all’euro.


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