CENGHIALTA: TOUR, LA REGINA DI TUTTE LE BATTAGLIE

PROFESSIONISTI | 05/07/2018 | 14:09

Sta viaggiando verso il Tour, verso la Vandea, quel territorio caldo della Francia, dove ai tempi della Rivoluzione Francese scoppiarono le celebri guerre di religione. Un territorio da sempre di conflitti, e da dove oggi parte lo scontro da sempre più importante per il  mondo del ciclismo: il Tour de France. Non una guerra dei Sei Giorni o dei Cento Anni, non una guerra di religione o di conquista, ma una guerra di tre settimane fatta a suon di raggi, borracce, rpm, scalate, scivolate, attacchi, fughe, volate e trionfi.


Bruno Cenghialta, misurato direttore sportivo vicentino, alla sua quinta esperienza in ammiraglia alla corsa gialla, schiera per l’Astana un capitano del calibro di Jacob Fugslang. “Ho cinque Tour de France al mio attivo, i precedenti tre con la Alessio e con la Fassa Bortolo. Altri tempi, altri corridori, altro ciclismo. Ne ho corsi nove da corridore. Anche qui altri tempi, altri corridori, altro ciclismo – racconta Bruno Cenghialta mentre è in viaggio -. I miei nove tour da corridore ? Avevo Moreno Argentin come capitano, poi Rolf Sorensen. La maggior parte li ho corsi con l’Ariostea, ma ho avuto anche un Berzin in maglia gialla per quattro giorni con la Gewiss, e ancora Bijarne Rjis, Ivan Gotti. Il capitano indiscusso, me ne scusino gli altri, per classe, per insegnamento, per tutto, resta Moreno Argentin. Gli altri certamente forti ma la classe di Moreno non l’ho più ritrovata in altri corridori. Da diesse con le precedenti squadre all’Astana, avevo team battaglieri, da attacco giornaliero ma non da far classifica, non da uomini “quadrati” in grado di contrastare i vertici della generale. Comunque tutta esperienza. Questo Tour lo affronto con un capitano vero da gestire”.


Il tuo primo Tour della nuova era del ciclismo?

“Beh certo, con un Worldteam nel Worldtour. Il Tour è la corsa clou, la corsa alla quale tutti vogliono essere presenti. Premetto che il Giro d’italia è molto più duro del Tour, anche se la corsa gialla ha un blasone unico. Al Tour c’è più tensione. Il Tour è il Tour. Se penso a quando lo correvo da atleta come è cambiato...”.

Solo il Tour o tutto il ciclismo?

“In generale è cambiato tutto negli ultimi cinque anni, c’è molto da comunicare. Io ho avuto modo di lavorare tre anni con la Tinkoff e Sagan. Con Peter si è stravolto tutto, ma già quello che faceva Peter cinque anni fa non è più attuale. Una continua rincorsa all’evoluzione di tecniche, di materiali, di ricerca. C’era stata una prima evoluzione con Peter, ma ogni anno cambia il ciclismo e cambiano i corridori, ogni anno è una evoluzione, una ricerca di materiali più performanti, allenamento più precisi, mirati, risultati da raggiungere e migliorare anche per pochi secondi. La battaglia diventa complicata. Ai miei tempi c’era “il capitano” e attorno c’erano i corridori. Adesso c’è un capitano e tutti i corridori preparati in caso di emergenza sono preparati per poterlo sostituire. E il direttore sportivo deve essere pronto e preparato a conoscere le potenzialità di ogni cambio e le eventuali prospettive di cambiamenti di classifica in corsa. Un esempio su tutto. I famosi corridori che portavano avanti e indietro le borracce al capitano o ai corridori facendo la spola dall’ammiraglia alla testa del gruppo, non esistono quasi più. Si cerca di non avere dispersione di energie nel gruppo corridori di un team, piuttosto di avere più persone schierate lungo il percorso, personale di supporto, perché nelle fasi delicate e complicate di una corsa la squadra deve essere presente al completo. La figura del portaborracce insomma non esiste più, ora si deve guardare a tutto, anche ai minimi dettagli. La scorrevolezza dei tubolari se sono perforanti, ogni percorso viene analizzato, le ruote, la scorrevolezza dell’asfalto, non si lascia nulla al caso”.

Non si rischia di perdere la fantasia?

“La fantasia nel ciclismo è fondamentale, ci sarà sempre il gesto atletico del campione, la fuga tirata fuori dal cilindro o l’azione di forza o lo scatto, i corridori sono umani, non robot. Ma per usare la fantasia bisogna partire tutti alla pari, guardare sempre chi è più avanti, chi ha l’ultima novità, chi ha l’ultimo materiale. Un direttore sportivo contemporaneo deve essere sempre preparato e al passo con i tempi, con la mente dinamica e aperta”.

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