ADDIO PUGNALONI, COMPLICE LEGGERO

LUTTO | 19/04/2018 | 07:39
E’ morto Ubaldo Pugnaloni. Era un gregario di Fausto Coppi: dalla fine del 1945 al 1947, nella Bianchi. Poi era diventato suo amico: fino alla morte. In due occasioni era stato addirittura suo complice: nel 1953, quando Fausto e la Dama Bianca furono scoperti e fotografati in una tappa del Tour de France, e Pugnaloni sostenne di essere stato lui a portare Giulia alle corse; e nel 1954, quando ospitò Fausto e la Dama Bianca nella sua casa di Ancona eletta a domicilio coatto della coppia punita per adulterio.

Pugnaloni è morto martedì all’una di notte. E’ morto ad Ancona: aveva 93 anni. Da qualche tempo conviveva con problemi di equilibrio. Una caduta domestica gli aveva procurato la frattura del bacino. Il ricovero in ospedale, il drenaggio, una complicazione polmonare, e il cuore non ha retto. Stamattina, alle 9, il funerale in forma privata, poi la cremazione a Fano, quindi la tumulazione ad Ancona.

Aveva il dono della leggerezza, Pugnaloni, e il tesoro della modestia. Ricordava quando Indro Montanelli scrisse che Pugnaloni non era un cognome da corridore. Allora lui scrisse a Montanelli aggiungendo che neppure Ubaldo era un nome da corridore, e lo ringraziava di non averlo specificato, sarebbe stato troppo. Come se non bastasse, Pugnaloni aggiungeva che, secondo l’autorevole parere del commendatore Aldo Zambrini, patron della Bianchi, lui non aveva neppure la faccia del corridore. Di dover prendere la vita con spirito fu costretto ad accorgersene subito, al pronti-via: chi nasce il 25 dicembre (lui nel 1924), sa di dover rinunciare a metà dei regali previsto, o quelli del compleanno o quelli di Natale. E di dover prendere la vita con filosofia fu costretto ad accettarlo anche da corridore: quando conquistò il titolo italiano dei giovani fascisti, dilettanti e qualche professionista, era il 25 luglio 1943, neanche il tempo di festeggiare e cadde il fascismo, e così la sua giornata di gloria fu oscurata, dimenticata, cancellata.

In quattro anni e mezzo di professionismo (prima nella Bianchi, poi nella Viscontea e nella Stucchi), Pugnaloni conquistò un secondo e un terzo posto in tappe del Giro d’Italia. Di sé diceva – ovviamente - di essere stato una meteora. Eppure si rivelò testimone importantissimo di un’epoca, meravigliosa, del ciclismo – quella romantica, fra Coppi e Bartali -, e anche della vita – quella della rinascita e della ricostruzione -. Raccontava di come ignorò le offerte della Olmo e della Legnano e accettò quella della Bianchi solo perché gli piaceva la maglia biancoceleste; e di come al Giro di Lombardia 1945 Bartali gli disse che si avvantaggiava solo per cambiare la ruota e invece andò in fuga; e di quelle due settimane di allenamento in Riviera con Coppi, ma ad accompagnare il Campionissimo faceva così fatica che voleva farsi richiamare a casa con un telegramma; e di quella volta che accompagnò Bartali al cinema a vedere “Gilda” con la provocante Rita Hayworth prima della Milano-Sanremo 1946 con il preciso intento di farlo stancare, e invece fu lui, il giorno dopo, ad abbandonare la corsa, stremato; e di quel Giro d’Italia 1946 in cui corse con la maglia della Gazzetta-Milan, rossonera, perché la squadra della Bianchi aveva già i suoi sei uomini.

Pugnaloni li aveva conosciuti tutti, da Cottur a Magni, da Zanazzi a Malabrocca, da Martini a De Santi, da Marangoni a Ricci, ed era uno di loro, eppure era considerato, e forse un po’ si considerava, diverso. Forse perché i corridori marchigiani erano una rarità, forse perché lui aveva lineamenti fini e modi eleganti, forse perché la sua alternativa al mestiere di ciclista non era quello di muratore o di contadino, tant’è vero che, quando scese dalle due ruote, salì su quattro e aprì un’autoscuola-autonoleggio-autoaccessori. E tant’è vero che, quando Coppi ebbe bisogno di una persona affidabile, si ricordò di lui. Era il settembre del 1954. “Li ospitammo a casa nostra – diceva Pugnaloni -, allora vivevamo in via Trieste 35. Non furono giorni facili, quando mia moglie Luisa e Giulia uscivano per Ancona spesso la gente non aveva espressioni dolci per la compagna di Fausto. Arrivavano anche telefonate poco gradevoli nei nostri confronti, colpevoli di ospitare degli adulteri”. In casa, Coppi era un ospite discreto e riservato, Giulia più esuberante. “Ogni giorno – ricordava Pugnaloni - Fausto mi raggiungeva negli uffici dell’autoscuola e poi giravamo in città. Fausto divenne cliente di Quinto Boggi, il barbiere di via Rismondo”.

Anche andare al cinema con Coppi poteva diventare un’avventura: “Una sera io e Fausto andammo a vedere un film al Rex, in corso Stamira, dove adesso c’è una banca. All’uscita trovammo la serratura della mia auto bloccata con i fiammiferi. Dovemmo chiedere aiuto per tornare a casa”. Insomma non era facile vivere tenendo in casa i due protagonisti dello scandalo che faceva parlare tutta l’Italia. Poi Coppi e la sua compagna si trasferirono all’hotel La Fonte a Portonovo e all’albergo D’Amico a Loreto. “Per noi fu un sollievo – ammetteva Pugnaloni –. Non che non avessimo piacere di ospitare Fausto Coppi, ma la pressione della gente e della stampa era diventata insostenibile”.

Pugnaloni raccontava storie meravigliose, e io ne ho approfittato, facendolo apparire sia fra “Gli angeli di Coppi” (Ediciclo, 1999), sia fra “I diavoli di Bartali” (Ediciclo, 2016). A quest’ora starà volando con i primi.

Marco Pastonesi
(nella foto, Ubaldo Pugnaloni è con Alfredo Martini)
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