LONGEVITÀ A PEDALI

TUTTOBICI | 28/03/2018 | 08:36
Incontro due volte all’anno Sergio Zavoli, che detiene le 94 primavere più lucide del mondo. Ci ritroviamo in Abruzzo, a Chieti, per i lavori della giuria di un importante premio calcistico, ma fra noi parliamo quasi soltanto di ci­clismo. Facciamo finta di po­ter rifare, un secolo o l’altro, se non un millennio o l’altro,  il Processo alla Tappa, a cui lui mi convocava spesso. Aleggia ancora in Abruzzo il ricordo forte di Vito Taccone. Al Giro d’Italia Sergio mi assegnò so­vente la parte, peraltro da me sentitissima, di teledifensore e telelaudatore di Balmamion, che vinceva per due anni di se­guito, 1962 e 1963, la corsa ro­sa senza vincere una tappa e non godeva - ingiustizia - della popolarità di Taccone che si pappava tappe su tappe (addirittura quattro di fila vinte nel 1963), si autoproclamava ca­moscio d’Abruzzo ma sulle mon­tagne grandi spariva. Nella regione di Taccone godevo di una vasta impopolarità, evidenziata da cartelli “contro”, an­che se di Vito ero amico e ci si intendeva bene, noi due, su un sacco di cose.

Non però di questo vo­glio parlare, bensì del concetto di longevità le­gato al ciclismo. Io sempre più ritrovo ciclisti dei miei Giri d’Italia (dal 1959 al 1999,  non tutti ma tanti, in totale 28) che sono invecchianti be­ne, conservando memoria e mo­bilità. Intanto che sempre più apprendo di calciatori che non arrivano alla media vecchiaia anagrafica perché muo­io­no prima, e sovente da malati, o che ci arrivano ma in condizioni fisiche precarie. Al pun­to che viene da dire, che se davvero il ciclismo frequenta eccome il doping e il calcio quasi no, come affermano mol­ti sapientoni o meglio saccentoni, si potrebbe e forse si dovrebbe desumere che il do­ping fa bene.

Mi viene qui da raccontare che un mio amico è andato a Lon­dra di recente per una rentrée dei Rolling Stones da lui amatissimi, e mi ha detto di avere notato che Mike Jagger, il leggendario leader del complesso, è del 1943 come Mario Monti, il nostro importante e severo e stimato personaggio dell’economia e della politica, ma da come si muove frenetico sul palco, e al confronto con la saggia apprezzata pacatezza dello stesso Monti, sembra suo figlio. Ora, sapendo di certe ammissioni/confessioni dell’idolo canoro a proposito di assunzioni di stimolanti ed eccitanti, sino anche alle droghe pesanti, e ovviamente sa­pendo dell’apprezzata integri­tà fisica e mentale e morale di Monti, viene da colpevolmente ma anche paradossalmente pensare che le droghe non sia­no poi troppo o sempre da de­monizzare, quanto meno per il loro “rendimento” sul piano diciamo atletico.
Ma c’è di più. Non ho statistiche e neppure esempi diciamo po­polari sottomano, ma ho sempre constatato che i ciclisti, una volta smesso di pedalare, diventano tutti splendidi guidatori di auto, capaci di velocità alte e di medie strepitose e insomma di autentici rallies al volante, per tragitti lunghi e difficili richiedenti resistenza somma e riflessi superpronti. Come se quella fosse sempre stata la loro vera e principale e piena attività.

Una volta ad uno di loro, un ciclista celebre della mia città, reduce con me da un viaggio aereo con arrivo all’aeroporto dove ave­vo lasciato la mia auto, affidai il volante: “Guida tu, fammi un venti chilometri mentre mi rilasso e intanto mi concentro, poi ti do il cambio”. Mi svegliò sotto casa mia, dopo quasi 200 chilometri in cui io avevo dormito e lui aveva guidato be­ne, senza che il mio “riposino” fosse turbato. Devo precisare che il giorno prima lui ave­va pedalato in gara per quasi 300 chilometri di gara, io avevo lavorato al massimo un due ore a scrivere articoli.

E a proposito di annotazioni e precisazioni: se qualcuno crede di avere già letto di questo episodietto occorsomi, e magari proprio su questa pubblicazione e si capisce riferito da me, magari non si sbaglia, anche se io non ricordo tutto bene. Il fatto è che io pedalo verso gli 83 anni e non ho certo la longevità lu­cida dei miei amici ciclisti. Né di un Churchill che, ai nostri antipodi, partecipava così la ragione del suo invecchiare splendidamente: «È lo sport, ma nel senso che mai e poi mai l’ho praticato. Al massimo qual­che marcetta per seguire il funerale di qualcuno che in vita aveva fatto tanto sport ed era morto precocemente».

Gian Paolo Ormezzano, da tuttoBICI di marzo
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