INIZIATIVE | 10/02/2018 | 09:06 Era un re. Ma un re speciale. Il suo palazzo non era un castello ma una casetta nel cortile, il suo tesoro non consisteva in oro e diamanti ma in un deposito di pannocchie di grano, e suo padre non era stato un re ma un bravo soldato sopravvissuto a una terribile battaglia durante la Prima guerra mondiale.
Era un re. Ma un re speciale. Era alto, grande e grosso, spalle allargate a forza di metallurgia e agricoltura, non aveva studiato con gli scienziati di corte però sapeva leggere, contare e scrivere anche filastrocche. E sapeva tutto quello che gli aveva insegnato la natura, sapeva anche raccontarne tutte le sue storie.
Era un re. Ma un re speciale. E aveva una bicicletta, speciale anche quella, tant’è che la chiamava “il mio cavallo alato”. Era una bicicletta vecchia, con il telaio di ferro, e con quella ogni giorno andava a lavorare, quindici chilometri avanti e quindici indietro.
Un giorno il re, che poi era semplicemente un nonno, prese il suo nipotino, lo caricò sulla bicicletta e insieme affrontarono un sentiero di ghiaia e fango, nel bosco, fra rami e pollini, finché alla fine di una discesa, al massimo della velocità e al minimo dei freni, la bicicletta – o il cavallo alato – atterrò in una catasta di fieno.
“Mio nonno re di poca cosa” è il bellissimo libriccino scritto dal portoghese Joao Manuel Ribeiro, illustrato dalla portoghese Catarina Pinto, tradotto da Laura Fasolino e pubblicato da Tuga Edizioni (76 pagine, 14 euro). E’ il nipotino che racconta il re nonno, il suo potere, la sua magia, la sua arte.
“Io non possiedo trono, corona o palazzo come i re del mondo – gli spiegava il nonno re -. Io sono un re differente da tutti gli altri. Io sono il re di me stesso e della mia vita. Essendo re, sono padrone di tutto ciò che mi appartiene. Questo significa regnare”. Per esempio, con la bicicletta: “Quello che faccio è semplice: sogno, trasformo la realtà, do gambe all’immaginazione”.
Pensato per lettori intorno ai dieci anni, “Mio nonno re di poca cosa” vale per tutti. Perché è un libriccino che sa di buono, che adotta la semplicità, che ricorda la purezza, che tramanda i valori. Ed è così che il nonno parla della voce del silenzio (“la sua lingua lenta”), del tempo (“Un mistero tutto da scoprire”), della pazienza (“Il cuore del mistero del tempo”), della vecchiaia (“L’impossibilità di ricordare il futuro. E ricordare il futuro è avanzare nell’immaginario del tempo”), della serenità (“Di chi sa che la vita è fatta di tanti nulla sommati insieme”). E che insomma “siamo tanto quelli che ci amano e ci abitano che, quando ci vengono a mancare, smettiamo di essere tanto e cominciamo a essere un po’ meno spirito e materia”.
Finché il nonno re passò dalle due ruote del cavallo alato alle quattro di una carrozzina. “Quando ero giovane – sospirava – mi abbracciavo da solo e andavo dove volevo. Oggi, che sono vecchio, stendo le mani, e un altro mi abbraccia”. E il bello è che adesso è il nipote a pedalare sul cavallo alato.
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