BRUGNAMI, ORSETTO SE N'È ANDATO

LUTTO | 03/02/2018 | 10:07
Tour de France 1961: a squadre nazionali, gli italiani in maglia tricolore. Undicesima tappa: la Torino-Antibes, di 225 km. La mattina il c.t. Antonio Covolo richiamò i nostri a un maggiore impegno: finora pochi attacchi e zero vittorie contro la maglia gialla Jacques Anquetil. Sul Monginevro Carlo Brugnami andò da Graziano Battistini e Imerio Massignan: “Dai, ragazzi, allunghiamo”. E fu battaglia. In cima Charly Gaul, poi Massignan, poi Brugnami. In discesa Brugnami, da solo. Uno, due, tre, otto minuti di vantaggio: Anquetil temporeggiava, Gaul aspettava, gli italiani godevano, e Brugnami era maglia gialla virtuale.

Se non che: un tifoso, che voleva rinfrescare Brugnami, gli lanciò un secchio d’acqua. Tutto: acqua e secchio. Il secchio colpì Carlo e lo spedì fuori strada, in una scarpata, a 80 all’ora. Non avrebbe visto neppure il gruppo superarlo. Fu un miracolo che riuscì a cavarsela solo con una clavicola fratturata.

Carlo Brugnami è morto ieri: era perugino di Corciano, aveva 79 anni. Cominciò a correre perché fu la vita a chiederglielo: “Avevo 14 anni, ogni mattina a lavorare in bici da casa a Perugia, una quindicina di km ad andare e un’altra quindicina a tornare, una gara con gli altri ragazzi pendolari, e ogni volta una volata”. Cominciò a gareggiare bussando alla porta: “Quella dell’Unione ciclistica Perugia. Mi domandarono se avessi la bici, gli risposi di sì e che stava fuori dalla porta, la guardarono e scoppiarono a ridere, era un ferrovecchio di mio padre Fernando”. Tifava per Gino Bartali: “Amavo la sua forza e la sua onestà”. Ma a Bartali osò dire di no: “Nel 1959, da dilettante, vinsi la San Pellegrino, una sorta di campionato italiano a tappe per dilettanti, il trampolino dei talenti che Bartali avrebbe accompagnato all’esordio nel professionismo. Ma siccome usavo una bici Torpado fin da quando era allievo ed ero diventato amico del figlio del proprietario della Torpado quando studiava all’Università di Perugia, non mi sentii di tradire quella squadra”.

Sei anni da professionista (fra Torpado, Philco, Gazzola, Lygie e Molteni), alla grande: “Cominciai con il botto: secondo nei Gran premi di Monaco e di Nizza e nella Mentone-Roma, terzo nel Gran premio ciclomotoristico”. Poi quindicesimo al Giro d’Italia: “Tappa di Forlì, sulla Rocca delle Caminate raggiunsi Ercole Baldini. Era in crisi, soffriva, piangeva, mi chiese di aiutarlo, arrivava fra la sua gente. Lo aiutai come potevo. Alla fine mi disse un grazie così di cuore che è uno dei ricordi più belli della mia vita”. Finalmente la prima vittoria: “Nel Gran premio di Altopascio”. La seconda: “Nel circuito di Avezzano”. E la terza: “Nella tappa di L’Aquila al Gran premio ciclomotoristico del 1961”. Sarebbe stata l’ultima: sei Giri, due Tour e un Mondiale, un’infinità di piazzamenti (e di avventure), compreso un secondo posto al Giro 1961, la Vittorio Veneto-Trento, di 249 chilometri, beffato più che dal belga Willy Schroeders da un photofinish sospetto: “Ma fu anche colpa mia per una ingenuità”.

Era pane e ciclismo, Brugnami. Smesso di correre a 27 anni (“Meno risultati e più fatica, e un gregario si sarebbe dovuto ammazzare di fatica”), è sempre rimasto legato al mondo rotondo, da direttore di corsa, da dirigente sportivo, e fino alla fine come presidente onorario della società Secom Forno Pioppi di Mantignana, il paese dove abitava. Lo chiamavano Orsetto, ma era un leone.

Marco Pastonesi
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