UN GIRO AL TOUR. I SEGRETI DEL TOSO

PROFESSIONISTI | 10/07/2017 | 07:54
Il Toso dice che con i corridori non ha mai litigato. «Con Martinelli sì, ci scontriamo spesso. Poi però si va a tavola assieme e passa tutto. E lui la mattina dopo arriva al camion e mi fa: lo sai che io e te siamo due valvole, ogni tanto sfogo io, ogni tanto tu». Questo è il racconto di Gabriele Tosello, nato ad Abbiategrasso un giorno di aprile del ‘68 e finito a Casorate Primo, «poco lontano, sono quindici chilometri, però è già in provincia di Pavia». Sono le conseguenze dell’amore. Una sera il Toso e i suoi amici vanno a una festa di paese, il paese è Casorate, e alla festa c’è Samuela. «Accalappiato, e addio Abbiategrasso. Anche se il mio paese rimane sempre quello, io non cambio».
 
Il Toso mette su famiglia e un negozio di biciclette,
«perché a Casorate non c’era». Prima correva, perché i maschi dei Tosello erano stati tutti corridori. «Papà, zii, cugini, tutti. A casa di mio padre erano quindici fratelli. E poi c’era Guerrino, che era suo zio ma con mio padre Giorgio aveva soltanto tre giorni di differenza. Lui passò, fece il professionista undici anni, ha corso con Merckx». Vinse due tappe al Giro e corse due volte il Tour. Ma questa è un’altra storia, più o meno. A Casorate il negozio funziona, cominciano a frequentarlo i corridori. Anche il Toso aveva sognato di correre. «La prima vittoria è indimenticabile. Ero giovanissimo, si correva a pochi chilometri da casa, e di solito arrivavo fra i primi ma mai primo: quarto, quinto. Quel giorno prima dell’ultima curva vedo un tipo, ce l’ho impresso nella memoria: mi fa segno, vai, vai. E io penso: starà dicendo a me. Così vado, e vinco. Ma io quel tipo non lo conoscevo, secondo me stava incitando qualcun altro. Comunque mi diedero il classico mazzo di fiori e una coppa. La coppa ce l’ho ancora, è l’unica che ho tenuto». Prima o dopo arriva il momento di smettere. «Per fare il corridore serve qualcosina in più. Io non l’avevo».

Al negozio un giorno capita Bruno Vicino, porta del materiale. Col Toso diventano amici. Un giorno Bruno gli chiede di preparargli le ruote per il Belgio. «Io accetto, d’inverno c’erano i tempi morti e potevo farlo». Va avanti così per tre anni, intanto la famiglia cresce: prima nasce Cinzia, poi Axel. Così il Toso può raccontare di avere una cosa in comune con Merckx: un figlio che si chiama Axel. «In sei anni il negozio subisce tre furti, l’ultimo mi fa passare la voglia. Bruno mi fa: chiudi, vieni con me alle corse». Comincia nel ’98, entra ufficialmente alla Saeco nel 2000, dalla Saeco alla Lampre fino ai sei mesi all’Amica Chips. «Dal 2010 sono all’Astana». E con la Nazionale kazaka: il Toso è a Londra quando Vinokourov vince l’oro olimpico. «Posso dire di aver fatto anche questo».

Tanti direttori, da Vicino a Bontempi, da Salutini a Martinelli, e tanti corridori.
«Se sono diventato un buon meccanico lo devo a Mario Cipollini. Lui mi ha istruito, bastava uno sguardo e capivo cosa voleva. A volte lo dico ai corridori di adesso: se sono sopravvissuto a Cipollini non ho più paura di niente. A qualcuno ti affezioni di più, è normale. Dico Astarloa, forse perché è stato uno dei primi, e abbiamo subito vinto il Mondiale. E poi Vincenzo». Con Nibali il Toso ha vinto moltissimo. «Abbiamo avuto un bel rapporto, un po’ difficile all’inizio. Ci abbiamo messo almeno sei mesi a entrare in sintonia. Abbiamo cominciato a lavorare assieme in ottobre, ricordo che due o tre volte è venuto a casa mia, parlavamo, ma c’era ancora un fondo di diffidenza. Alla Tirreno del 2013 non avevo ancora la sua fiducia al cento per cento».

Dev’essere un problema fare il meccanico di Nibali.
Uno che ha la passione di montare e smontare qualsiasi cosa. «E’ vero. Ho sempre detto che Vincenzo potrebbe fare benissimo il meccanico. In casa ha una mezza officina, ha sempre il trapano in mano. Una volta smonta l’armadio, un’altra la lavastoviglie o il pc. Si diverte così. Anche se non sempre riesce a rimettere tutto a posto». Ci sono corridori che non distinguono una ruota da un freno (anche il Toso cita Totò Commesso come esempio perfetto d’improvvisazione alla guida), e altri che notano anche i dettagli. «Vincenzo è incredibile. Si accorgeva anche se il nastro del manubrio lo montava un altro al posto mio. Uno molto pignolo era Cipollini, gelosissimo della sua bici: stava attento a come la lavavi, a come la appoggiavi sul camion. Era pignolo in tutto: se ti azzardavi a sbagliare strada ti fulminava con lo sguardo».
 
A proposito di corridori. «Io ero innamorato di Savoldelli, mi piaceva un sacco. E prima di fare questo lavoro, da appassionato, ero tifoso di Bugno: si allenava nelle mie zone, ogni tanto lo vedevamo, riuscire a fare qualche chilometro di fianco lui era il massimo». Da tifoso gli piacciono «i soliti sport: le moto, le auto, e mi sono un po’ intrippato per il rugby».

Il Toso comincia ad avere i suoi allievi. «Sono entrati due ragazzi nuovi, Morris Possoni e Andrea Vezzoli: promettono bene, sono attenti, e soprattutto vogliono imparare». Sono alla scuola giusta. «Credo che sia il mio quattordicesimo Tour, ma non sono neanche sicuro. Del primo mi ricordo poco o niente, anche perché facevo gli hotel». Più facile ricordarsi quando vinci: con Gotti, con Simoni, Cunego, Contador, Nibali e adesso Aru. «Del Tour di Vincenzo mi ricordo quella benedetta notte prima della tappa del pavè. Non è una Roubaix ma quasi, non sai bene come comportarti, non sai come si troverà lui, speri di aver fatto la scelta giusta. C’era una tensione pazzesca, la percepivi, ogni tanto arrivava giù qualcuno e veniva a vedere nel camion. Direttori, corridori. Le facce non erano tranquille. L’unico che ha dormito quella notte è stato Vincenzo. Per lui era una cosa nuova, la curiosità superava l’ansia: è arrivato la mattina, faceva domande, era pacifico. In corsa è andato tutto perfetto, e da lì il Tour è stato tutto in discesa, io non ho mai avuto paura».

Più facile che una vittoria sia indimenticabile quando tu eri in ammiraglia a viverla da dentro. «Alla Planche des Belles Filles è stato bellissimo. Anche perché è andato tutto alla perfezione. Avevamo fatto la riunione al mattino, era tutto molto chiaro. Però la prima salita è sempre un punto interrogativo. Era già stabilito dove doveva partire Fabio, addirittura un po’ prima, ai meno tre. Ma è stato perfetto». In ammiraglia cosa succede? Martino urla? «Sì, parecchio. Martino ha l’urlo facile. Come Bramati? Nooo, Martino urla senza la telecamera. Lui urla e io sto zitto, ascolto lui. Però è bello, scalda anche me, figurati il corridore».

A questo punto tanto vale che il Toso ci racconti subito qual è la tattica per questo Tour de France, così soffriamo meno. «Beh, siamo qui per fare bella figura». E questa ormai l’abbiamo fatta. Dicci qualcosa che non sappiamo, Toso. «Vorremmo arrivare a Parigi davanti». Poi si pente, arretra, frena. «Per scaramanzia non dico altro». Non c’è altro da dire, in effetti.

Alessandra Giardini

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