GIANETTI, BICICLETTA&COMUNICAZIONE

PROFESSIONISTI | 24/06/2017 | 07:47
«Ho sempre avuto due passioni: la bicicletta e la comunicazione. Avere oggi la possibilità di coltivarle entrambe e addirittura di farle divenire complementari…», è il massimo. Mauro Gianetti non lo dice, ma è la sola parola che gli manca. Per il resto, snocciola concetti complicati con semplicità e altrettanta naturalezza.
«Ho fatto il corridore per 17 anni e se posso pedalo sempre, anche se magari non tutti i giorni», spiega l’argento dei Mondiali 1996 di Lugano, corsi in casa.
Trenta vittorie, tra cui le gemme di una Liegi-Bastogne-Liegi e una Amstel Gold Race, nel 1995. Poi una carriera da dirigente che ha coinciso per lo più con la sua Saunier Duval, che tra il 2004 e il 2011 muta in Scott, Footon e Geox e taglia i più importanti traguardi di Giro, Tour e Vuelta.
Le strade di Gianetti, oggi, sono però ancora più impegnative. Perché da scalare ci sono alcune tra le più grandi aziende del pianeta, le stesse che grazie anche a lui hanno scelto di investire nello sport sui pedali.

Emirates, Mitsubishi e Samsung sono solo alcuni dei colossi che hanno deciso di investire nel progetto ciclistico nato ufficialmente solo il 4 gennaio 2017 ad Abu Dhabi e oggi già in grado di contare le prime vittorie. Tra cui quella, prestigiosa, di Jan Polanc sull’Etna al Giro d’Italia del centenario, dove la casacca Uae Emirates è arrivata prima di ogni altra.

«Avere la responsabilità di portare sul­la maglia la scritta degli Emirati Arabi Uniti non è cosa di poco conto, come si può immaginare. Ma è soprattutto un onore, nato da un investimento di energie e lavoro lungo anni. Ho cominciato a seminare quando ancora avevo la squadra, lavorando anche ad altri progetti. E oggi mi fa piacere che il risultato di tanto lavoro si sia concretizzato».
All’ombra delle Nations Towers della ca­pitale degli Emirati, al taglio del na­stro della nuova avventura sportiva, c’era proprio Gianetti accanto al neo presidente del team, Matar Al Dhaheri, e a Beppe Saronni, general manager della squadra. In quelle ore solo una ambiziosa fenice che si liberava dalle ceneri della Lampre Merida. «Non fatico a credere allo stupore generale di quei giorni - racconta Gianetti -, nel vedere la squadra passare dalla nuova proprietà cinese, come sembrava dover essere, alla nuova conformazione emiratina».

Saronni e Matar, in quelle ore, sottolinearono il ruolo decisivo del dirigente ticinese nel dar corpo alla nuova realtà. E ora, a fronte di una macchina organizzativa sempre più rodata, Gianetti sa che nella competizione internazionale non ci sono mai vie in discesa.
«Il progetto Uae Emirates poggia su basi ben solide. E il ciclismo, una volta di più, dimostra le grandi potenzialità di sviluppo di brand, prodotti e significati. Ci sono tanti esempi di marchi una volta non conosciuti al grande pubblico ma che poi vivono della promozione consentita da sponsorizzazioni in questo sport. Anche anni dopo che l’investimento è terminato. Il ciclismo è così: basti pensare che il 12% degli in­vestimenti nello sport marketing avviene proprio in questo mondo. Lo dimostra anche l’aumento esponenziale del­la produzione di biciclette in tutto il mon­do o la diffusione del bike sharing nelle città. La direzione è quella che porta alla diminuzione del traffico veicolare e dell’inquinamento. E in alcune città esistono addirittura delle autostrade per biciclette. Concetti che solo quindici anni fa erano impensabili».

Va da sé che laddove si guardi al futuro non ci si scosti da queste considerazioni. E la quotidianità degli Emirati Ara­bi Uniti è proprio una finestra sul do­mani.
«La proprietà del team ha una visione a medio e lungo termine. Perché è la progettualità a non avere orizzonti ne­cessariamente immediati. Si intende stimolare la popolazione degli Emirati a praticare sempre più sport, anche per contrastare i problemi di diabete e so­vrappeso che nel Paese hanno percentuali molto alte. È chiaro che la situazione climatica, nel Golfo Persico, non aiuta la pratica sportiva, visto che in estate si superano i 50 gradi centigradi. Occorre quindi creare stimoli, ma anche emozioni, che invoglino a praticare sport. E a creare delle infrastrutture adatte a spostarsi in bicicletta, sui percorsi medi e brevi».

Lì dove le fermate degli autobus sono refrigerate e dove si scia sulla neve del Mall of Emirates, davvero nulla pare impossibile.
«Negli Emirati c’è una visione futuristica eccezionale e ogni investimento è a favore della comunità. In un luogo che dispone di abbondanti riserve di petrolio, si lavora per fare di Dubai la prima città mos­sa solo ad energia solare. È in questo contesto che il ciclismo rientra nella visione di un futuro in cui la bicicletta sarà un mezzo di trasporto e partono da qui anche i progetti di scuola di ci­cli­smo. La volontà è poi quella di formare corridori di primo livello, come lo stesso Yousif Mirza, campione nazionale degli Emirati e atleta della Uae Team Emirates. Una squa­dra che porta in giro per il mondo i colori nazionali, nelle gare in Au­stra­lia e in America, in Europa, in Africa o in Cina. Ecco, il ciclismo è uno straordinario veicolo pubblicitario per tutta la Nazione e per la sua cultura. Anche in ottica Expo 2020, dove è puntato lo sguardo già da tempo».

In una programmazione tanto ambiziosa, la componente italiana del progetto ha un ruolo importante.
«Anche in Italia ci si muove in questa direzione: il Trentino Alto Adige e la Liguria sono esempi importanti dell’attenzione allo sviluppo di piste ciclabili, che magari un tempo venivano viste co­me opere per “sfigati”. Oggi il 38% dei turisti tedeschi si sposta per le vacanze dove sa di poter utilizzare la bicicletta. In Italia l’attenzione c’è, magari non sempre c’è la disponibilità economica per realizzare quel che si vorrebbe fare. Ma la visione è la medesima. E in un contesto come questo, anche il progetto Uae Emirates può essere uno stimolo per le aziende italiane a ricavare visibilità e promozione a livello mondiale. Il fatto stesso che gli investitori abbiano scelto e premiato il gruppo di Bep­pe Saronni è un riconoscimento alla bontà, al valore e alla professionalità di un gruppo che da più di vent’anni ope­ra bene nel mondo del ciclismo. Non è un mistero che Saronni abbia dovuto misurarsi a lungo con budget inferiori ad altre squadre, portando avanti una gestione oculata del team e riuscendo comunque a ottenere ottimi risultati».

Tanto che, in un ciclismo sempre più orientato verso i “team nazione”, la componente tricolore è spesso collocata al vertice.
«Molti addetti italiani sono nelle mi­gliori squadre e in un futuro si potrebbe certo pensare anche ad una squadra tutta italiana, che raggruppi queste professionalità e che possa promuovere l’Italia stessa e le sue aziende nel mon­do», ipotizza Gianetti. In ogni caso, «il ciclismo non è fatto solo di questo. Perché permette sì di valorizzare un territorio, ma anche una banca o un’acqua minerale, ad esempio. È insomma un’occasione per molti di promuovere differenti aspetti, anche attraverso eventi collaterali. Con la Saunier Du­val, per dirne una, piantammo un mi­lio­ne di alberi in Africa, regalando 40mila kit scolastici per i bambini. Anche con la UAE ci saranno tanti progetti che svilupperanno l’immagine dell’azienda. Il ciclismo offre opportunità a 360 gradi in un modo unico a tutti coloro che vogliano investire nello sport».

La crescita sportiva, insomma, deve an­dare di pari passo con quella del team.
«Con la squadra di Saronni partiamo da una base molto solida ed esperta e non credo sia opportuno fare passi più lunghi della gamba, promettendo quel che poi non si ha la certezza di mantenere. Deve essere una crescita graduale, con la valorizzazione dei giovani e con una visione orientata sempre ai massimi livelli. Come in tutte le strutture, laddove necessario, credo anche un’internazionalizzazione possa tornare utile. Anche se resto convinto della gestione italiana a capo del tutto. La multiculturalità consente di avere maggiori input e, in un certo senso, rappresenta appieno lo stile emiratino, in cui solo il 5% dei residenti so­no di origine lo­cale. Aprire le porte e sviluppare nuo­ve idee porta a beneficiare del know how di tutti».

Anche per questo, Gianetti non chiude la porta a quella Cina che avrebbe po­tuto essere ma poi non è stata.
«Come tutto il resto del mondo, anche negli Emirati si guarda alla Cina. E la Cina, come chiunque, guarda al ciclismo. In questo momento forse più nel­la fase di organizzazione di gare, tanto che si potrebbe quasi allestire solo un calendario cinese. La voglia di portare avanti progetti importanti per lo sviluppo del ciclismo è anche loro e l’Italia è da sempre molto attenta al mercato cinese, con grandi aziende che non vedono l’ora di entrarne a far parte».

Stefano Arosio, da tuttoBICI di giugno
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