IL PASTO AL GIRO. WALTER DELLE PISTE

STORIA | 13/06/2017 | 08:30
Un colpo di telefono alla partenza della quarta tappa del Giro d’Italia Under 23 e il signore dell’anello racconta di quel giorno del 1967, quando proprio qui, per l’inaugurazione del velodromo di Forlì – pista all’aperto sopraelevata in cemento -, si cimentò nel tentativo di primato sul giro. Riscaldamento, lancio, poi 400 metri volati in 23 secondi e due decimi, alla media di 62,069 chilometri all’ora. Record. Imbattuto.

Walter Gorini da Barbiano di Cotignola, è lui il signore dell’anello di Forlì: “Pista e strada, ma la strada in funzione della pista, perché in salita mancavo molto, e se mi fossi dedicato di più alla strada, magari sarei migliorato in salita, ma poi avrei perso potenza nella volata. Così, fino ad aprile facevo la strada per la forma e il fondo, poi, quando cominciavano le riunioni in pista, mi concentravo sulla pista. E finché non fu costruita la pista a Forlì, andavo in macchina a quella di Ferrara. La prima bici fu quella per il primo campionato, quello emiliano a Ferrara: mi dettero un telaio da strada accomodato per la pista. Poi passai a una Cinelli, a una Pogliaghi e infine a una Masi. La Cinelli e la Masi le ho ancora, invece la Pogliaghi dovetti restituirla alla squadra”.

Velocità, chilometro da fermo, tandem: “La velocità è essere da soli contro un avversario. Su una pista da 400 metri, lunga come quella del Vigorelli a Milano, la velocità non è solo esplosività, ma anche resistenza e strategia. Bisognava saper improvvisare la tattica a seconda dell’avversario, delle posizioni, e anche dell’ispirazione. Io prediligevo la volata lunga, in progressione, e quella pista me lo consentiva. Il chilometro da fermo è essere da soli contro se stessi. Ci dicevano di partire forte, aumentare a metà e finire a tutta. Agli 800 metri si finiva la benzina, l’importante era fingere di nulla e continuare a spingere anche con le gambe vuote. Ma c’erano gare in cui le gambe erano così dure, di marmo, che sembrava che la pista, improvvisamente, si trasformasse in una salita. Il tandem non è solitudine, anche se sarebbe meglio, perché i due compagni dovrebbero essere così armonizzati da diventare un tutt’uno. Nel tandem c’è tutto: velocità e intesa, strategia e complicità, affiatamento ed esperienza”.

Una carriera fulminante, quella di Gorini: “Nel 1966 campione italiano nel chilometro da fermo e nel tandem. Il mio compagno era Giordano Turrini: lui davanti, io dietro, e lui sapeva bene quanto io potessi dare. Sempre nel 1966 ai Mondiali non venni convocato per il chilometro da fermo, ma solo per il tandem: bronzo. Nel 1968 mi riconfermai campione italiano nel chilometro da fermo e nel tandem, sempre con Turrini. Ai Mondiali neanche stavolta venni convocato per il chilometro da fermo, ma solo per il tandem: oro. E all’Olimpiade di Città del Messico non andai per il chilometro da fermo, ma solo per il tandem: quarto, con Luigi Borghetti: lui davanti, io dietro. Ci rimasi malissimo. Mi sembrava una ingiustizia. Il 1969 fu il mio ultimo anno di attività, e riconquistai il titolo italiano nel tandem, stavolta con Mauro Orlati: io davanti, lui dietro. Poi, nauseato, abbandonai il ciclismo. Avevo 25 anni”.

Adesso Gorini è un signore di quasi 73 anni: “Oltre alla Cinelli e alla Masi, ho anche una Galmozzi da strada. Ma non le uso più. Al ciclismo, però, mi sono riavvicinato. La passione rimane. E mi è rimasto anche quel record”.

Marco Pastonesi
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