Quello del ritiro o meno di Primoz Roglic al termine della prossima stagione sarà uno degli argomenti che, almeno finché non lo sloveno non prenderà ufficialmente una decisione in merito, maggiormente terrà banco in casa Red Bull-BORA-hansgrohe.
A questo proposito, il quattro volte vincitore della Vuelta España ha già dichiarato a suo tempo di voler dedicarsi presto a moglie e figli lasciando che le incombenze familiari prendano definitivamente il sopravvento su quelle ciclistiche ma se tale momento sia arrivato o meno egli non l’ha ancora avvertito.
Un grande interrogativo, dunque, aleggia sulla testa del re del Giro d’Italia 2023 il quale, questo invece è certo, dovrà fare i conti la prossima stagione non solo con avversari sempre più freschi e tenaci ma anche con una concorrenza interna sempre più qualificata. Con Lipowitz, Hindley, un Pellizzari in rampa di lancio e il neoarrivato Remco Evenepoel sarà complicato agire da leader unici nelle grandi corse a tappe del 2026 ma questo non sembra preoccupare più di tanto il classe ’89 di Trbovlje, convinto che sia più importante capire come la squadra possa arrivare a vincere piuttosto che scervellarsi su chi debbano essere gli uomini designati per farlo.
Riguardo alla convivenza interna, ma anche ai rimanenti obiettivi di carriera, alla complessità del ciclismo d’oggi e alla recente sfida che l’ha visto protagonista ad Andorra al fianco di Pogacar, Del Toro e Vingegaard, ecco cosa ci ha detto l’esperto campione sloveno.
Primoz, come è stato battersi con Jonas, Tadej e Isaac ad Andorra e che ne pensi di questo format?
“È stata un’esperienza diversa dal solito ma molto bella tant’è che non mi dispiacerebbe rifarla. Il format con la cronometro e la prova in linea a seguire mi è davvero piaciuto e credo che alla fine tutti si siano divertiti”.
Pensi che qualcosa del genere, in futuro, possa essere replicato in Slovenia magari con te, Tadej, Matej e Omrzel?
“Perché no? In Slovenia non abbiamo un campione di corridori molto numeroso ma certamente qualcuno di molto forte non manca. Si potrebbe fare. L'anno prossimo avremo gli Europei in Slovenia, quindi a seguire magari si potrebbe organizzare qualcosa…”
Questione ritiro: hai già preso una decisione in merito o stai ancora riflettendo sul da farsi?
“Piacerebbe anche a me sapere quando mi ritirerò per poter pianificare il mio futuro, ma per come sono fatto probabilmente arriverò a prendere una decisione all'ultimo momento, qualunque essa sarà. Sicuramente è indubbio che ogni giorno che passa sono più anziano e l’istante in cui dirò “basta” si avvicina, ma è difficile dire quando questo accadrà. Per quest'anno ho ancora un contratto con la squadra e sicuramente correrò, per il resto vedrò come le cose si evolveranno giorno per giorno ma finché la motivazione sarà dalla mia continuerò a gareggiare. In ogni caso, da parte mia non c’è alcuna paura di smettere o di fare qualcos'altro”.
Chiuderai tornando alle origini e quindi agli sport invernali?
“Mi piacerebbe. Sono arrivato al ciclismo partendo dalle discipline invernali, mi auguro di poter continuare a sciare e divertirmi sulla neve, ma per il momento tenterò di restare in bici il più possibile”.
Hai vinto Giro e Vuelta, tappe in tutti i tre i Grandi Giri, medaglie olimpiche e mondiali ma anche classiche Monumento e praticamente tutte le gare a tappe di una settimana: per cosa vorresti lottare la prossima stagione?
“Mi piace vincere, quindi questo è l’obiettivo”.
Le 100 vittorie da pro’ possono essere un traguardo raggiungibile?
“Se teniamo come riferimento quanto fatto questa stagione, penso che mi serviranno ancora dieci anni o giù di lì per arrivare a quel numero…Ne ho comunque conquistate 91, una cifra che mai avrei immaginato di raggiungere nella mia vita da ciclista. Certo, sarebbe bello poterne aggiungerne ancora qualcuna, ma il fatto che possa ancora star lì con i migliori al mondo è di per sé già qualcosa d’importante e proprio l’esser obbligato migliorare e a tirar fuori la miglior versione di me stesso ogni anno per riuscirci è la benzina che mi spinge ad andare avanti”.
Hai assistito internamente alla crescita di Giulio Pellizzari quest’anno: pensi che già dalla prossima stagione potrà essere leader in qualche corsa?
“Potrebbe essere. È un ragazzo in gamba, ha talento e sicuramente può diventare un grande corridore in futuro. Ha già dimostrato di essere molto forte, vincendo una tappa alla Vuelta e finendo sesto in classifica generale a un passo dall’ottenere anche la maglia bianca di miglior giovane. Ha dunque un grande potenziale e credo che, dimostrandolo con le vittorie, prima o poi potrà avere i gradi di capitano. Il punto comunque, in generale, non è tanto per me l’essere leader o meno ma piuttosto capire come vincere. Spesso ci si preoccupa del fatto che uno sia capitano o non sia capitano in certe gare ma non è questo che deve occupare i nostri pensieri quanto invece comprendere come riuscire a imporci”.
In Red Bull comunque siete davvero in tanti a poter correre da capitani e in qualche corsa probabilmente sarete costretti a dividervi la leadership: come troverete il giusto equilibrio? Semplicemente parlando tra di voi e trovando, insomma, la giusta alchimia?
“Esatto. Dal mio punto di vista poi è semplice: se non sono in grado di vincere le gare, non voglio ricoprire i gradi di capitano. Trovo che per esserlo infatti, prima di tutto, uno debba dimostrare di essere all'altezza ed essere capace di fare grandi cose e, in secondo luogo, debba essere in grado di tirare fuori il meglio da tutta la squadra e i ragazzi che gli sono attorno”.
Come immagini sarà la convivenza con Evenepoel?
“Molto facile. Sinceramente ci sono un sacco di gare quindi, dal mio punto di vista, il problema non riguarda tanto chi correrà alcune o chi ne farà altre da capitano ma piuttosto come arriveremo a vincerle e a essere i migliori. È questo da sempre il mio modo di ragionare, ovvero pensando prima di tutto a come, a livello di squadra, possiamo arrivare a essere i più forti. Non mi interessa dunque se sarà lui o qualcun altro a riportare dei successi: ciò che conta è che la sua è un’addizione positiva per il team perché ha dimostrato di essere speciale, ha vinto molto in passato per cui speriamo che possa fare lo stesso con noi il prossimo anno”.
Capita ormai sempre più spesso di vedere ragazzi giovanissimi e di talento arrivare prestissimo tra i professionisti: alcuni riescono a fare la differenza, altri faticano un po’ di più, altri invece hanno a un certo punto hanno vere e proprie crisi. Secondo te, è troppo stressante il ciclismo oggi?
“Sicuramente oggi è diverso rispetto al passato. La generazione che sta prendendo il sopravvento è composta da giovanissimi, diciannovenni o anche diciottenni, già in possesso di un livello tale da poter raggiungere grandi risultati e competere con gente come noi. È un mondo che a volte può non essere semplice da capire per ragazzi del genere ma è così che stanno le cose, è una sfida e lo è anche per me: è proprio questo che mi spinge ad andare avanti, che mi mantiene giovane e mi permette di competere con loro, con i ragazzi più promettenti”.
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