FANINI: «LA MIA STORIA A TUTTO CICLISMO»

INTERVISTA | 19/07/2020 | 07:38
di Tommaso Giacomelli

Ivano Fanini ci ha aperto le porte della sua roccaforte di Amore & Vita Prodir, raccontandoci a cuore aperto la sua incredibile esperienza di vita, dedicata a pieno al mondo del ciclismo. Sono state tante le vittorie ottenute dai corridori delle sue squadre, sia nel mondo dilettantistico che in quello professionistico, ma altrettanto fondamentali sono state le battaglie portate avanti a suo nome nella lotta al doping, e non soltanto.
La sede di Amore & Vita Prodir è un vero archivio: le pareti sono un vero e proprio museo fotografico, che racconta momenti di gloria e incontri straordinari con personalità di spicco, uno su tutti Papa Giovanni Paolo II.


Partiamo dalle origini, da dove nasce la grande tradizione della famiglia Fanini nel mondo del ciclismo?
«Mio padre aveva una squadra di ciclismo già nel 1948, ma prima ancora, mio zio Ivano correva per un team di Lucca, la Libertas. Era uno dei grandi di quei tempi, insieme a Del Carlo di Porcari, erano i più forti in assoluto in Toscana, i leader del ciclismo regionale negli anni che vanno dal 1940 al 1950. Una rivalità in stile Bartali e Coppi, con al seguito un tifo davvero sfegatato. Fu proprio mio zio a trasmetterci la passione per questo sport, grazie, poi ci ha pensato mio padre, che costruiva e vendeva biciclette, a fondare la sua squadra di ciclismo. La famiglia Fanini è una delle più storiche di questo mondo, in seguito anch’io e i miei tre fratelli Pietro, Michele e Brunello siamo entrati direttamente in attività come ciclisti, ma soltanto io e Michele abbiamo raccolto molte vittorie, tanto da essere stati considerati tra i migliori a livello regionale nelle nostre categorie. Michela, figlia di Brunello, è un’altra figura importante della nostra famiglia, è stata una campionessa assoluta, ha vinto il Giro d’Italia, molte tappe al Tour de France, medaglie mondiali e il campionato italiano. Purtroppo è scomparsa prematuramente, ma dovunque le hanno reso onore, dedicandole strade, piazze e piste ciclabili».


Torniamo a lei.
«A diciotto anni, capendo di non poter fare la vita da atleta, ho smesso di correre ma dopo poco ho iniziato in prima persona a formare le squadre di ciclismo. Per anni ho avuto dai 150 ai 200 ciclisti tesserati per anno, dai giovanissimi ai dilettanti, ho creato squadre femminili quando ancora nessuno ci pensava, sono diventato commissario tecnico della nazionale argentina per qualche anno, ho avuti atleti di moltissime nazioni. Dopodichè sono passato al professionismo scegliendo Piero Pieroni, che era già un affermato preparatore tra l’altro anche di Francesco Moser, come direttore sportivo. L’altro nome importante che riuscimmo a coinvolgere è stato Gino Bartali, al quale fu affidato il ruolo di direttore tecnico. Nacque così la nostra prima squadra di professionisti, la Fanini-Wuhrer: era il 1984 e in quell’anno proprio da Lucca partiva il Giro d’Italia».

Qual è stato il momento più bello della sua carriera sportiva, quello davvero indimenticabile?
«In tutti questi anni abbiamo vinto una settantina di campionati nazionali, raccogliendo migliaia di vittorie, fra cui 12 trionfi mondiali. Tra le più grandi soddisfazioni ricordo quelle che ci ha dato Rolf Sorensen, un danese che presi da ragazzino e con il quale vincemmo il mondiale juniores. Lo feci passare tra i professionisti e al suo primo anno vinse la Tirreno-Adriatico davanti a Francesco Moser. Dopo di lui, per un legame di simpatia e di affetto, viene sicuramente Mario Cipollini. È stato con me dai sei fino ai diciannove anni: insieme abbiamo vinto tanto e ricordo che la prima maglia di Campione del Mondo l’ha vinta con noi. Poi abbiamo Michele Bartoli, che si è formato da noi dai sette fino ai vent’anni di età, così come Andrea Tafi, che ha vinto la Parigi-Roubaix. Un altro è Franco Chioccioli che nel Team Fanini ha raccolto le prime vittorie di tappa al Giro d’Italia. Tra le soddisfazioni più belle non posso non citare l’impresa di Pierino Gavazzi, che a trentotto anni ha vinto il campionato italiano a Imola, battendo due ex campioni del mondo come Fondriest e Saronni. Un altro nome a cui sono molto legato è quello di Giambattista Baronchelli, che sul finire della sua carriera venne con noi. Tra gli ultimi mi ha dato una grande gioia Michael Woods, canadese, che ho scoperto grazie al suggerimento di un mio ex corridore suo connazionale. Nel 2018 è arrivato a conquistare il bronzo nel mondiale di ciclismo su strada, dietro soltanto a Valverde e Bardet. Ricordo anche che ho avuto tantissimi direttori sportivi, decine e decine, tra i migliori in assoluto e che oggi occupano dei ruoli importanti e lo stesso vale per i meccanici e i massaggiatori».

Amore & Vita nasce nel 1989 ed è la squadra di ciclismo più longeva al mondo. Dietro a questo nome si nasconde un grande messaggio: come si riesce a far coincidere i valori cristiani con lo sport?
«Per Amore & Vita, l’incontro con Roberto Formigoni, che all’epoca era Presidente del Parlamento Europeo, fu decisivo. Era uno dei promotori del movimento “No Aborto”, ci trovammo in sintonia e divenne in breve il Presidente onorario del team, carica che ricopre tutt’ora. Avevamo due squadre professionistiche, perciò si decise di mettere sulle maglie di una squadra “Dio ti ama”, mentre nell’altra “No all’aborto”. Andammo al cospetto di Papa Giovanni Paolo II, il quale fu molto contento di questa iniziativa. Quando il mondo femminista vide queste maglie ci furono diversi problemi, i nostri corridori vennero fatti oggetto di alcuni atti incresciosi, così pensammo di sostituire il “No Aborto” con il nome Amore & Vita. Il suggerimento per questo nome mi fu dato da Giovanni Paolo II in persona. Noi crediamo in quello facciamo, perché pensiamo che Amore e Vita siano le parole più importanti per tutta l’umanità. Intendiamoci, portare avanti certi messaggi non è di certo stato facile, abbiamo avuto diversi problemi, e nel corso degli anni abbiamo perso anche degli sponsor importanti».

Anche Silvio Berlusconi si era avvicinato ad Amore & Vita, ma questo non piacque a tutti, giusto?
«Sì, con Berlusconi vi è stato un rapporto importante, tanto che a un certo punto sulle nostre maglie, a strisce rossonere come il Milan, di Amore & Vita abbiamo aggiunto la scritta “ForzArcore”. Con quella casacca abbiamo vinto anche al Giro d’Italia soprattutto grazie a Glenn Magnusson, corridore svedese che riuscì a sconfiggere anche Cipollini. Vittroie festeggiate insieme a Berlusconi stesso e a Ennio Doris, patron di Banca Mediolanum che divenne sponsor della squadra. Purtroppo, la decisione di aggiungere il motto “ForzArcore” sulle casacche non è piaciuta a tutti e ci ha creato qualche problema, in primis con alcuni sponsor, uno su tutti Beretta salumi, che dopo oltre dieci di partnership si fece da parte, perché aveva paura di essere associata a una figura politica. In seguito intervenne anche l’Unione Ciclistica Internazionale (UCI), che ci fece togliere definitivamente la scritta “ForzArcore”, per non avere ingerenze politiche nel mondo del ciclismo».

Amore & Vita però non è soltanto questo, la Famiglia Fanini si è battuta aspramente anche per uno sport pulito, con la lotta al doping su tutti i fronti.
«Sì, Amore & Vita significa anche lotta al doping. Io ho battagliato con il mondo intero per avere un ciclismo pulito, mettendomi contro l’ex Presidente dell’UCI Hein Verbruggen e tanti corridori. Ho fatto 16 Giri d’Italia consecutivi, ma da quando ho cominciato questa missione contro il doping hanno cominciato ad escludermi direttamente dalla rassegna. Ad ogni modo, il Giro d’Italia non lo avrei potuto più fare, per il cambio delle regole. Sono stati fatti davvero molti passi avanti con la lotta al doping negli ultimi anni, sicuramente il ciclismo è più pulito che in passato anche grazie alle mie numerose iniziative, ma ancora bisogna farne di strada per sconfiggerlo e probabilmente farlo è impossibile».

Quella al doping però non è l’unica battaglia per la quale Amore & Vita si è battuta nel corso degli anni …
«No, infatti siamo stati anche promotori dell’obbligo del casco per i ciclisti, in principio per i professionisti, poi anche per gli amatori. Noi siamo stati la prima squadra al Giro d’Italia a far indossare ai nostri corridori l’elmetto di protezione, non senza polemiche. Un’altra dura lotta che abbiamo portato avanti, visibile sulle nostre magliette, è stata quella contro il fumo, che qualche importante risultato ha raggiunto nel corso degli anni. Tutte queste battaglie mi rendono orgoglioso, perché in qualche modo siamo riusciti a salvare tante vite».

Come vede il futuro del ciclismo?
«Tutto dipenderà dai contributi che le istituzioni e le federazioni daranno al mondo del ciclismo. Un ruolo fondamentale lo avranno anche gli sponsor e i diritti televisivi, che dovrebbero andare a finanziare in qualche modo i team, altrimenti lo scenario futuro sarà molto preoccupante, specialmente dopo questa emergenza legata al Coronavirus».

Lei e Papa Giovanni Paolo II avete avuto un rapporto particolare, cosa ci può raccontare a proposito?
«La prima volta che sono stato in Vaticano con la mia squadra incontrai Paolo VI, fu un’esperienza grandiosa, realizzata anche grazie all’amicizia con Don Franco Baroni. Anche dopo l’elezione di Giovanni Paolo II continuammo ad andare con la squadra dal Papa, sempre con Don Franco Baroni al seguito. Da quel momento, tutti gli anni ci recavamo in Vaticano per presentare la squadra, e quando passammo al professionismo, il Papa in qualche modo divenne il socio numero uno di Amore & Vita, della quale condivideva gli ideali. Sono state venticinque le presentazioni consecutive del team a San Pietro, e il Papa ha sempre partecipato con entusiasmo firmando caschi e biciclette. Abbiamo vissuto delle esperienze incredibili, il Papa si interessava davvero alla squadra, al punto che presi con me dei corridori polacchi perché me li aveva consigliati. Momenti davvero indimenticabili».

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COMMENTI
Che storia...
20 luglio 2020 19:16 roger
Una storia unica ed irripetibile quella di Fanini e le sue squadre. Nonostante ci sia chi lo critica, questo Signore ha fatto qualcosa che sarà difficile ripetere in futuro. Bravo davvero!

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