GIARDINI APERTI. CICCONE, IL RAGAZZO CHE LOTTA CON LE SUE PAURE

INTERVISTA | 06/02/2020 | 07:50
di Alessandra Giardini

Un ragazzo di venticinque anni che di colpo si è trovato al centro del mondo, l’estate scorsa, quando ha preso la maglia gialla al Tour. E pochi giorni dopo essere tornato a casa ha conosciuto il dolore e la paura: Silvana, la sua mamma, si era ammalata. Non era la prima volta che Giulio Ciccone si vedeva cadere il mondo addosso. Dopo il primo anno da professionista, dopo aver vinto una tappa al Giro, si era dovuto fermare per due interventi al cuore per risolvere un problema di tachicardia. La vita è così: la paura ci fa diventare più forti. Lui lo ha imparato il giorno della sua prima corsa, quando stava per schiantarsi contro un palo della luce, «avevo otto anni, a Manoppello, sono uscito largo da una curva in discesa e c’era il palo, ma ho fatto un bel numero per saltarlo, sono montato sul marciapiede».


Ci racconta dove tutto è cominciato? Come si vive nella contrada Mulino di Brecciarola?


«Ci si conosce tutti. C’è la piazza, il bar, il supermercato. Il cinema no, bisogna andare a Chieti scalo».

Com’è stato trasferirsi a Bergamo da ragazzo?

«Un disastro. Piangevo. Mi mancava tutto. Poi ho conosciuto Chiara e le cose sono migliorate».

Piatto preferito?

«Gli arrosticini sono scontati: ormai si trovano anche lontano dall’Abruzzo. Se devo scegliere però dico la pizza. La mia la fanno a Chieti alta: è bianca, con patate, prosciutto cotto e stracciatella».

Esiste anche un gelato Ciccone. Potenza della maglia gialla.

«Cocco e cioccolato, i miei gusti preferiti».

In cucina come va?

«Me la cavo bene, anche se non faccio mai niente di troppo complicato. Meglio di Chiara comunque».

E’ vero che voleva fare il camionista?

«Mamma me lo chiede sempre: allora quando te lo compri il camion?».

Papà fa il camionista?

«Macchè. E’ impiegato in regione. Mamma lavorava alla scuola elementare, ma adesso si sta curando, fa la chemio».

Come sta?

«Non molla, non si abbatte. Magari avessi la sua forza».

Invece somiglia a suo padre?

«Sono una via di mezzo. Da papà ho preso la tranquillità».

Sul serio?

«Quando non corro, ovviamente». (Ride).

Quando l’hanno operata al cuore ha avuto paura di smettere?

   «Nel 2017 ci ho pensato, sì. E’ stato un anno pesante, brutto, avevo perso fiducia, facevo una fatica pazzesca, al Giro fu un disastro, mi staccavo da cento corridori. Alla fine ero triste, giù di morale. Ma dopo una settimana era tutto passato».

Ciccone corre male, spreca troppe energie. 

«Me lo dicono spesso. Di dover migliorare lo so anch’io».

Obiettivi per il 2020?

«Sarei contento se Nibali vincesse il Giro, io finissi nei primi dieci e Cassani mi convocasse per le Olimpiadi».

Cosa fa, si mette pressione da solo?

«Un po’ comincio a sentirla. L’anno scorso quando mi staccavo non ve ne accorgevate neanche, quest’anno so già che non sarà così».

Pensa di staccarsi?

«Mi capita spesso di staccarmi, quando non sono al top faccio fatica».

A cosa pensa quando va in salita?

«Quando sono in forma sono tranquillo. Soffro ma penso che gli altri soffrono come me o magari di più. Questo mi fa sentire più forte. La domanda vera è cosa penso quando corro a cronometro».

Cosa?

«Tutto il contrario».

Bisogna migliorare, se vuole vincere un giorno il Giro.

«Mi sto impegnando, ho trovato una posizione diversa, inizio a star bene».

Che cosa la sorprende?

«Essere diventato un professionista a questo livello. Pensavo di poter fare bene, ma non così. E vorrei ricordare che ho soltanto 25 anni».

Il suo primo ricordo di Nibali?

«Al Giro del 2016, quando vinsi la mia prima tappa e lui il Giro. Tutti lo davano per morto e lui ebbe la capacità di ribaltare la corsa, con una classe che hanno solo i grandi campioni».

Scarponi fu molto importante in quel Giro. Quest’anno quel ruolo è suo.

«Per stare al fianco di uno così devi essere alla sua altezza, andare forte forte forte. Ecco, mi sto mettendo pressione di nuovo».

Cassani dice correre con Nibali che per lei sarà come andare all’università.

«Per ora posso dire che mi trovo bene, io e lui parliamo ma quasi mai di bici».

Eppure ci sono dieci anni di differenza.

«Io sono più vecchio dei miei 25, Vincenzo più giovane dei suoi 35. In pratica siamo coetanei».

Tecnologici tutti e due.

«Lui è un maestro, è lui che mi spiega le robe. Con la bici però sono più maniaco di lui: faccio impazzire i meccanici, li faccio montare, smontare, un millimetro e vado giù di testa, quando posso la bici me la porto anche in camera. Vincenzo dice che sono un esaurito».

Viaggiare le piace?

«Mi piacerebbe. Se non avessi una paura matta dell’aereo».

E come fa?

«Io ho paura di tante cose. Poi le affronto».

Cos’altro le fa paura?

«Il mio incubo è il terremoto, a Brecciarola abbiamo vissuto quello dell’Aquila e quello di Amatrice. Non abbiamo avuto danni grossi ma abbiamo dormito in macchina per un bel pezzo. Ma ho paura anche dei temporali, sono sempre a disagio».

Ha la bacchetta magica. Cosa fa?

«Guarisco la mia mamma, tutto il resto va benissimo così».

dal Corriere dello Sport-Stadio

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