LUCA GUERCILENA, ORGOGLIO ITALIANO

INTERVISTA | 29/11/2019 | 07:55
di Pier Augusto Stagi

Ha trovato l’America in Ame­rica, rendendo il nostro Pae­se orgoglioso di lui. Lu­ca Guercilena è forse il simbolo di quel ciclismo italiano che in questi anni si è fatto apprezzare con onore all’estero, adeguandosi ad una mondializzazione globale e inarrestabile. 


Si è messo in viaggio, Luca. Prima co­me apprezzato tecnico e allenatore cresciuto alla scuola di Aldo Sassi - il qua­le l’ha sempre considerato il suo allievo prediletto - e poi come dirigente. Dal 2011 si è trovato a tenere in pie­di la Leopard (vi ricordate di Flavio Becca?) che navigava in brutte acque e poi con sapiente attenzione l’ha traghettata ver­so l’americana Trek, per la quale dall’ottobre 2012 è il team manager.


Luca è stato uno dei più apprezzati al­le­natori, in particolare di Fabian Can­cellara, al quale è ancora legatissimo. Tanto è vero che nella Confe­de­razione elvetica si ricordano ancora di quando questo ex ragazzo milanese di Cas­si­netta di Lugagnano guidava anche la nazionale rossocrociata, ed è per questo che anche l’estate scorsa gli hanno proposto di tornare a gestire il ciclismo svizzero alla vigilia dei Giochi di To­kyo.

La Svizzera lo rivorrebbe, ma gli americani se lo tengono stretto. E l’Italia? Lo rimpiange, ma ne va innegabilmente fiera. È il segno dei tempi. La Trek ha solide basi statunitensi, ma sotto la maglia di questo colosso delle biciclette batte anche un cuore italiano, grazie a questo manager capace ed elegante, che tiene alto il nostro buon nome.

La sua Trek è stata poi affiancata da quattro anni anche da un marchio tricolore e globale come la Segafredo di Massimo Zanetti e quest’anno è stata protagonista di un finale da capogiro, grazie al titolo mondiale di Mads Pe­der­sen, al Lombardia e alla Japan Cup di Bau­­ke Mol­lema, con il corollario del Criterium Ja­pan Cup vinto da Edward Theuns.
«Sì, abbiamo davvero fatto un finale d’annata pazzesco - ammette il tecnico milanese -. Se fino a quel momento la no­stra stagione era stata da 6+, con le vittorie di Mads e di Bauke siamo an­dati abbondantemente sopra il 7».

Cosa è mancato ad inizio stagione?
«Forse abbiamo patito un po’ l’eccesso di responsabilità. Più che parlare di preparazione sbagliata, mi sento di dire che il recupero è stato troppo breve. I ragazzi hanno forse lavorato troppo e troppo presto».

Partiamo proprio da Pedersen, l’uomo che ha lasciato senza parole Matteo Trentin e l’Italia intera.
«Guarda, da italiano mi è davvero di­spiaciuto parecchio per Matteo e per la nazionale di Davide (Cassani, ndr) che ha davvero corso un grandissimo mondiale, ma è chiaro che la sorpresa e l’emozione di veder sfrecciare per primo sul traguardo di Harrogate Mads Pe­dersen è stata unica. Veder vincere un campionato del mondo da uno dei no­stri ragazzi più promettenti è stato qualcosa di eccezionale».

Una vittoria inaspettata quanto eccezionale: ma come e dove hai scovato Mads?
«Mi è stato segnalato da alcuni nostri tecnici osservatori e l’abbiamo visto all’opera in Norvegia nel 2016. Ra­gaz­zo solido, tosto, ideale per le corse del nord. Più fa freddo e più lui va forte. Abbiamo deciso di prenderlo con Stuyven: questi due ragazzi erano per noi le basi del post-Cancellara. Poi, se voi vi ricordate, al Fiandre dello scorso anno si è subito messo in mostra con un fantastico secondo posto. Mi sono detto: vuoi vedere che abbiamo davvero pescato un jolly? In verità quest’anno le cose non stavano andando come speravamo. Al Nord non si è fatto trovare in condizione, probabile che si sia fatto prendere la mano e dalla voglia di strafare e stupire: troppo lavoro. Per la pressione ha anticipato troppo. In­som­ma è arrivato al momento clou della stagione troppo scarico e questo l’ha messo un po’ in ginocchio. Moral­men­te ne ha sofferto tantissimo. Poi a Isbergues abbiamo capito che qualcosa era scattato e il ragazzo è tornato in condizione, e sulle strade dello York­shire l’hanno visto tutti».

Questa è anche la prima maglia iridata targata Trek Segafredo…
«Proprio così, è un traguardo che difficilmente scorderemo».

Come se non bastasse, dopo il Mondiale, ecco quello d’autunno con Mollema.
«Bauke era un po’ il simbolo di tutto il team: competitivo e sempre ad alto li­vello, ma poco vincente. Sulle strade del Lombardia è arrivata la vittoria più importante della sua più che onorevole carriera. Se lo meritava, perché è un professionista eccezionale. Un ragazzo che merita molto di più di quanto ha raccolto fin qui. Se uno vuol capire fino in fondo cosa è il ciclismo e come lo si interpreta, bisognerebbe portare nelle scuole di ciclismo uno come Bauke».

Adesso arriva anche Vincenzo Nibali…
«Lui ha già una storia pazzesca ma può ancora togliersi tantissime soddisfazioni. Ha classe, talento e temperamento. Ha credibilità e leadership. Lui come tutti i grandi campioni non ama correre così tanto per correre, ma lo fa sempre con finalità e obiettivi. E il prossimo anno qualche obiettivo ce l’abbiamo… Campioni di questo livello, anche a 35 an­ni, restano campioni. Fon­da­mentale è la testa, anche perché a livello fisiologico sono perfetti. Vincenzo ha una grandissima testa: il resto verrà di conseguenza».

Dodici vittorie stagionali, due delle quali con uno dei corridori più interessanti della stagione: Giulio Ciccone.
«Sapevo che Giulio poteva fare molto bene, ma è stato molto più bravo di quanto pensassi. Lui è uno scalatore di prim’ordine, se saprà crescere e migliorarsi anche nelle prove contro il tempo allora potrà diventare davvero un eccellente corridore da Grandi Giri. Il prossimo Tour, ad esempio, non ha molte crono e quindi è l’ideale per provare a fare ancora un piccolo passo in avanti. Però tra i ragazzi sui quali noi contiamo c’è anche Nicola Conci. È cresciuto molto e, secondo me, ha ancora molti margini di cresciuta. Anche per lui la prossima stagione sarà importante per cercare qualche vittoria. De­ve cominciare ad annusare l’aria della te­sta della corsa, e l’ebrezza del po­dio».

Siete una squadra che investe molto sui giovani e non è un caso che abbiate preso due talenti juniores, entrambi iridati: Simmons e Tiberi. Iridato su strada lo statunitense, a crono l’italiano.
«Dobbiamo fare di necessità virtù. Ab­biamo un’ottima struttura, ma non di­sponiamo di budget illimitati. La no­stra mission è sempre la stessa: vincere con i senatori, ma far crescere giovani talenti che da noi hanno una grossa o­pportunità: quella di mettersi in gioco. Se vali, da noi puoi subito spiccare il volo. Simmons è uomo da classiche, Tiberi - che lasceremo ancora un anno alla Colpack - è invece un ragazzo molto interessante per le corse a tap­pe».

Al Giro ottimi segnali…
«Mollema quinto, Ciccone ha vinto una tappa e ha portato a Verona la ma­glia azzurra di miglior scalatore. Insomma, ci siamo difesi».

Al Tour è mancato forse Richie Porte.
«Richie è stato in linea con le nostre aspettative. Doveva mirare alla top ten e ha chiuso undicesimo. Invece Giulio, al suo primo Tour e dopo aver disputato un grande Giro d’Italia, è stato bravissimo. Ha vestito anche la maglia gialla: da lui non potevano pretendere di più».

Ciccone, Pedersen, Mollema gli uomini promossi: chi bocciamo?
«Guarda, il Pedersen delle classiche del nord lo boccio ancora adesso, così come do l’insufficienza a Stuyven e a Degenkolb. Per il resto tutti promossi».

Bene anche le donne…
«Molto bene. È stata un’esperienza ot­tima. Nel ranking mondiale siamo al quinto  posto, abbiamo vinto 17 corse e so­no convinto che il prossimo anno an­dremo ancora meglio».

Si è appena andati a riposo, ma si è già pronti a ricominciare…
«È così. Primo raduno dal 9 al 20 di­cem­bre in Sicilia. Ci si ritrova tutti a I Mo­nasteri Golf Resort di Siracusa. Ri­tiro conoscitivo e programmi. Tempo di riposo, ma anche di sogni».

da tuttoBICI di novembre

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