LA PRIMA MOSSA

TUTTOBICI | 21/02/2019 | 07:56
di Gian Paolo Ormezzano

La presa di possesso ergo di potere sullo sport italiano, decisa dal governo o meglio dalla sezione leghista del governo a spese dell’ormai ridimensionato Coni, ricondotto alla sua funzione primaria di ente per la preparazione degli atleti ai Giochi olimpici, do­vrebbe mettere il ciclismo ad uno dei primissimi posti fra le discipline da sottomettere, pardon da supportare e aiutare e consigliare e guidare nel loro divenire, per il mi­glio­ramento della salute fisica e intanto dello spirito ap­punto sportivo degli italiani (si passa da un promettente, cordiale “Coni servizi” per gli sportivi ad uno statale e generico “Sport salute”). Pre­cisiamo che il Coni dal do­poguerra è anche un ministero per lo sport, in latitanza dei governi, e nel ruolo è quasi sempre così valido da farlo ritenere anche provvido.


Tornando a noi: ciclismo addirittura al pri­mo posto come sport nazionale? Sì, al primo posto se si pensa che il calcio è così forte di suo da autorizzare al massimo trattative, patti e contratti nei suoi confronti: un po’ come l’atletica leggera di fronte ai Giochi che devono comunque rispettarla, pri­vilegiarla, se del caso omaggiarla, perché in chiave olimpica da sola vale come tutto il resto dello sport mes­so insieme, ma che intanto si danno un programma sempre più moderno e dunque sempre più lontano dalla clas­sicità ellenico-decoubertiniana dei cartelloni a cinque cerchi dal 1896 a ieri.


Il ciclismo possiede peraltro molte delle caratteristiche utili, compresa si capisce la popolarità, per essere uno sport caro a chi governa. Con la sua espressione agonistica e spettacolare massima, il Giro d’Italia, propone addirittura un na­zio­nalismo forte, spesso bel­lo, sempre o quasi pulito e facile da cavalcare, intanto che esalta, tivù eccetera, il no­stro paese dal punto di vista turistico. Ha una valenza ecologica di giorno in gior­no più forte, per contrasto/confronto con l’inquinamento materiale di altri mon­di, e questo conta, anzi conta sempre di più, in tem­pi di lotta al cosiddetto progresso che cementifica plastifica soffoca inquina. Lotta vera o finta, sentita o fasulla, fisiologica o taroccata, simulata o opportunistica, co­mun­que sempre presentata e spesso spartita, vissuta come lotta doverosa e previdente.

E ancora: quando il ci­cli­smo si fa cicloturismo, conserva e produce salute anche e specialmente nella fascia dei non giovanissimi, mobilita persone di un ampio spettro anagrafico, e riesce persino a far­si praticare da tante tribù di donne. Vive inoltre un continuo divenire tecnologico, e sollecita impegna pigmenta le preziose iniziative dell’artigianato come quelle utili, in sede di produzione di massa per la massa, della grande industria.

E ancora: questo ciclismo appare ormai, nel­le grandi città e non solo, come l’unica valida alternativa al traffico automobilistico. Non è soltanto questione di inquinamento, è questione proprio di continuo spostamento, fra l’altro con sana pratica di esercizi fisico. Il progressivo riscaldamento del pianeta giova fra l’altro alla diffusione delle due ruote, perché in parole povere questo mutamento si­gnifica miglioramento complessivo delle condizioni climatiche e dunque maggiore facilità di andare in giro pe­dalando.

Insomma, c’è tutto ma davvero tutto perché un governo esperto o semplicemente furbacchione acchiappi il ci­clismo e in qualche modo se lo intitoli. Decida ognuno se questo è, per il nostro sport che amiamo, un vantaggio o uno svantaggio: democrazia significa anche questo procedere, e pazienza se poi magari le decisioni vengono prese così e non cosà... Qui ci interessa sapere se il mondo no­stro del ciclismo, e diciamo soprattutto quello dirigenziale, sa di se stesso, o meglio del proprio sport e delle sue potenzialità, quello che crediamo di sapere noi, e se in­tende procedere di conseguenza, producendosi in  qualche mossa prima che tutte le mosse importanti vengano eseguite su di esso, andando magari contro vo­lontà e interessi.

E se poi nessuna mossa venisse su di esso eseguita, se non quella di un accaparramento primario e vorace nell’insieme dell’accaparramento totale dello sport inteso in primis come macchina produttrice di voti, dovrebbero, i nostri capi ci­clistici, cominciare davvero a preoccuparsi. Poter contare teoricamente molto e sapere anzi constatare che gli altri, quelli al comando, non se ne accorgono (o non vogliono accorgersene) non è bello, anzi può voler dire che questi altri contano sulla malleabilità molliccia dei sudditi, dei sottoposti

Ma questo è davvero un al­tro film. Prossimamente qui?

da tuttoBICI di febbraio

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