Roberto Damiani e le emotTHioni della maratona di New York

| 15/11/2007 | 00:00
Roberto Damiani, direttore sportivo della Predictor Lotto, ha partecipato anche quest’anno alla maratona di New York. E di ritorno dalla Big Apple ci ha regalato le sue emozioni e le sue riflessioni. Che noi vi proponiamo. New York “EmoTHion” Mi chiedo cosa ci porta a cercare il nostro limite e molto spesso a renderci conto che un limite vero non c’è mai. Poi mi vien da ridere se penso che il buon Cristoforo Colombo forse è venuto in America perché pure lui non credeva nei limiti umani e forse... voleva fare anche lui la Maratona di New York. Un po’ di umorismo per cominciare a raccontarVi il nostro viaggio da Big Busti a Big Apple anche perché non mi sono sbagliato nel titolo. Siamo venuti qui come un gruppo del PanaTHlon Malpensa per cercare il nostro limite correndo la MaraTHon e quindi sono evidentemente EmoTHion che solo qui senti direttamente sulla pelle e nell’anima. Questo TH che può essere comun denominatore della nostra avventura potrebbe leggersi come Total Heart, perché chi non sa mettere il cuore sulla strada non può provare le emozioni di questo grande evento sportivo e popolare. Bene allora per raccontarvi queste emozioni parto… dall’arrivo e mi chiedo cosa si chiedono gli scoiattoli di Central Park quando una volta all’anno sentono le vibrazioni generate da ottantamila piedi che portano quarantamila storie di vita con i loro sogni verso il cuore verde di Manhattan. Sono le stesse vibrazioni che senti quando, appena dopo la partenza, sei sul ponte di Verrazzano e le gambe sono ancora fresche e in grado di percepire quella strana onda che fa fremere una degli emblemi americani. Quanta forza generano tanti piedi insieme! Penso sia inferiore alla stupenda sensazione che ho provato leggendo uno dei tantissimi messaggi scritti sulla schiena dei maratoneti : “imagine the world without cancer”. Abbiamo il dovere di credere che questo sia un traguardo raggiungibile come quello di Central Park. Che dire dei “Survivor”, i sopravvissuti dal cancro che sono lì con noi a lottare forse per dire, prima di tutto a se stessi, che sono vivi ed ai malati che bisogna lottare fino in fondo. Eccoci ormai alla mezza maratona: è il momento in cui sei contento di aver passato la prima parte ma sai che sta arrivando il momento in cui la testa deve violentare le gambe per continuare. In questo momento penso al mio amico Davide Balboni detto “Balbo” che sta correndo con un legamento crociato rotto con la maglia della sua “Stella Alpina di Renazzo” per portare all’arrivo il ricordo di Riccardo, un giovane ciclista che a sedici anni è volato via, più in alto dei suoi sogni di emulare Robbie McEwen. Caro Davide arrivare al traguardo con Riccardo è stata una di quelle cose che due settimane fa sembravano impossibile ma anche tu hai scoperto che non esistono limiti. Come ci dicono molti cartelli di spettatori: “ You can”. Proprio qui tra i grattaceli di Manhattan scopro per il secondo anno che è vero e sulla First Avenue, quattro miglia di strada diritta in leggera salita, scopro che si può correre e resistere anche ai crampi che mi dicono chiaro che tra me e i keniani non cambia solo il colore della pelle e io mi rispondo : “dai vecio, You can”. Come dicevo, la testa sta violentando le gambe. Eccomi a Central Park con ancora mille storie da raccontare ed un pensiero per la mia famiglia che vorrei fosse qui per provare le splendide sensazioni che sto provando io. Due miglia all’arrivo e non due chilometri ma corro al fianco di un ragazzo cieco verso l’arrivo e penso che anche lui sta sentendo le splendide vibrazioni della gente che ti grida : “good job boy” , “give me five, hero”. Mi sento orgoglioso di essere italiano quando mi gridano “go Italia” , l’abbiamo scritto apposta sulle maglie. Il passare dei chilometri della maratona può essere paragonato allo scorrere di una bella musica con tanto di ouverture, crescendo con variazioni e finale, ma invece di pensare a qualche buon brano di jazz o blues mi viene in mente il grande Giorgio Gaber e canticchio : “...el purtava i scarp del THenis el parlava de per lù”. Va bene che siamo in america ma è più tricolore ed in THema. Rettilineo finale. La grande fatica viene superarata dal pensiero: “è già finita”. Quasi mi dispiace di uscire da questo fiume lungo 42.195 km con due milioni di persone come sponde e negli ultimi metri penso ad Abebe Bikila che alle Olimpiadi di Roma ’60 vinse la maratona scalzo. Anche lui oltre ogni limite della logica. Arrivo. 4 h 38’ , peggio di 30’ rispetto lo scorso anno, ma mi vien voglia di ringraziare ugualmente Vince Chiappetta e Fred Lebow, primi organizzatori della New York Marathon che partì, nel 1970 con 127 “cercatori del proprio limite”. Ci ritroviamo in hotel dopo la doccia Anna e Luca Castiglioni, Davide “Balbo”, Anna la President-Runner ed io: sentiamo molto bene quello che i “residui” delle nostre gambe ci dicono e proprio ora, nel momento della grande soddisfazione, al di là del tempo impiegato, capiamo di aver trovato un nuovo limite che ci servirà anche nella vita di tutti i giorni. Probabilmente anche Lucio Battisti aveva assaporato la New York City Marathon prima di scrivere: “ tu chiamale se vuoi emoTHioni”. Roberto Damiani
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