Di Luca, ecco la motivazione della sentenza

| 12/11/2007 | 00:00
Ecco le motivazioni della sentenza della squalifica di tre mesi inflitta a Danilo Di Luca. GIUDICE DI ULTIMA ISTANZA IN MATERIA DI DOPING In funzione di Giudice di primo ed unico grado ex art. 13.1 lett.a) delle Norme sportive Antidoping N. 11/07 così composto: Dott. Francesco Plotino Presidente, Avv. Luca Fiormonte Vice Presidente, Dott. Luca Amato Componente, Avv. Silvia Chiappalupi Componente, Avv. Luigi Di Maio Componente, Avv. Prof. Luca Marafioti Componente, Dott. Antonio Marra Componente, Prof. Marcello Chiarotti Componente tecnico non votante, Prof. Ercole Brunetti Componente tecnico non votante. Nel procedimento disciplinare instaurato nei confronti dell’atleta ciclista professionista Danilo Di Luca, ha pronunciato la seguente Decisione: Con provvedimento del 21 settembre 2007, la Procura Antidoping del Coni deferiva dinanzi a questo Giudice, l’atleta di livello internazionale Danilo Di Luca, chiedendo la sanzione della squalifica di quattro mesi da ogni competizione, contestando allo stesso la violazione della normativa regolamentare antidoping nella parte in cui vieta agli atleti ed al personale di supporto di avvalesi della consulenza o della prestazione di soggetti inibiti dall’ordinamento sportivo. Nella fattispecie viene contestata la frequentazione con il medico Dott. Carlo Santuccione. In data 9.10.2007 veniva depositata memoria difensiva nell’interesse dell’atleta, nella quale si eccepiva in via preliminare la indeterminatezza del provvedimento di deferimento e la incompetenza del Giudice di Ultima Istanza a trattare la posizione del Di Luca atteso che la competenza del GUI andrebbe circoscritta agli addebiti di cui agli artt.10.1 sino al 10.10 del Regolamento Antidoping; e nel merito si nega ogni e qualsiasi responsabilità del Di Luca in riferimento agli addebiti contestati nel provvedimento di deferimento. A supporto delle proprie ragioni, la difesa dell’atleta depositava copiosa documentazione, ed in particolare la memoria difensiva del Di Luca dinanzi alla Procura della Repubblica presso al Tribunale di Pescara, nonché il decreto di archiviazione del GIP di Pescara, con cui il suddetto organo di giustizia disponeva l’archiviazione del procedimento penale iscritto a carico del Di Luca per il reato di cui agli artt.81 c.p. e 9 della L.376/2000. Con atto dell’11 ottobre 2007, replicava la Procura Antidoping sostenendo che gli addebiti contestati all’atleta sono frutto delle risultanze di accertamenti svolti nell’ambito dell’Operazione denominata “Oil for drug” svolta dal Nucleo Antisofisticazione e Sanità di Firenze. Sulla base di tale materiale investigativo, la Procura ha ritenuto esistenti elementi sufficienti a far presumere una violazione della normativa antidoping, pertanto, attraverso il deferimento e la contestazione degli addebiti è stato istaurato il contraddittorio: spetterà al Giudice apprezzare i fatti alla luce delle norme applicabili, in ossequio al principio generale “Iura novit curia”. Sotto il profilo della incompetenza del Giudice adito, la Procura richiama il punto 3 del libro Primo dell’adozione del codice WADA come modificato da ultimo con deliberazione n.292 del 21.08.2007, che attribuisce al GUI, la competenza a giudicare in primo grado, fatti relativi a violazione della normativa antidoping che coinvolgano atleti internazionali, quali il ciclista professionista Danilo Di Luca. Nel merito la Procura contesta le produzioni documentali della difesa ed in particolare il provvedimento di archiviazione del Tribunale di Pescara per un duplice ordine di ragioni; - da un lato per la autonomia che intercorre tra procedimento penale e procedimento disciplinare; - dall’altro, perché il provvedimento di archiviazione è stato disposto sulla base del fatto che dagli elementi ivi raccolti, non era possibile ipotizzare l’assunzione di farmaci vietati in occasione degli episodi oggetto di attenzione. Tuttavia tale presunta assunzione non è oggetto del deferimento attuale essendo altra e diversa la contestazione. Infine la procura insiste sul fatto che al Di Luca venga contestata la frequentazione con il Dott. Santuccione, soggetto inibito dall’ordinamento sportivo all’epoca dei fatti, frequentazione vietata dal sistema normativo antidoping vigente nel 2004 e da quello attualmente in vigore. I pari data giungeva ulteriore memoria di replica della difesa del Di Luca nella quale si insiste nella richiesta di assoluzione del Di Luca da ogni addebito disciplinare contestatogli. All’udienza del 16.10.2007 si presentavano l’UPA, nella persona del Procuratore Capo Dr. Ettore Torri unitamente all’Avv. Fabio Filocamo e l’atleta deferito, assistito dall’Avv. Federico Cecconi. Richiesto all’Atleta se avesse qualche dichiarazione da rendere, questi rispondeva di non avere “nulla da aggiungere rispetto a quanto dichiarato in sede di interrogatorio”. Avutane la parola, l’UPA eccepiva la irritualità della memoria di replica presentata dalla difesa del Di Luca in data 11.10.2007 mentre nel merito ribadiva il contenuto del provvedimento di deferimento e della successiva memoria, quindi veniva ammessa al deposito di produzioni documentali, nella fattispecie: la decisione n.27 del 11.10.2007 della C.D.F.N della F.C.I. pronunciata nei confronti il Sig. Giuseppe Muraglia e quella n.8 del 15.01.2002 sempre della C.D.F.N. della F.C.I. pronunciata nei confronti del Dott. Michele Ferrari. Prendeva la parola la difesa dell’atleta che insisteva sulle eccezioni preliminari di nullità del provvedimento di deferimento e di incompetenza del giudice adito, mentre nel merito, previa contestazione circa la pertinenza al caso de quo delle produzioni documentali depositate in udienza dall’UPA, ribadiva quanto espresso nei propri scritti circa la non punibilità del proprio assistito, atteso che alcuna violazione della normativa antidoping sarebbe stata perpetrata dal Di Luca. Il Dott. Santuccione, secondo la ricostruzione della difesa, all’epoca dei fatti contestati, non era soggetto inibito, pertanto la frequentazione del medico da parte del Di Luca, non poteva in nessun caso qualificarsi quale condotta perpetrante illecito disciplinare. Tra l’altro il Santuccione nel 2003 risultava tesserato per la FMSI: Udite le parti, il Collegio si ritirava in Camera di Consiglio per la decisione. Al termine della Camera di Consiglio, veniva data lettura del dispositivo della decisione ai presenti. Motivi della decisione Preliminarmente il Collegio respinge le eccezioni di rito sollevate dalla difesa dell’atleta, circa la indeterminatezza del provvedimento di deferimento e relativa nullità, nonché circa l’incompetenza dell’organo adito. Lamenta la difesa dell’atleta la violazione del diritto ad un equo dibattimento, atteso che l’UPA, nel provvedimento di deferimento non avrebbe contestato in modo specifico al Di Luca, alcuna norma dell’attuale Codice Antidoping, facendo un semplice, quanto generico, richiamo a norme di carattere generale. L’argomento non è fondato. In ogni sistema di diritto, compreso quello in cui si muove la giustizia sportiva, petitum e causa pretendi sono le due angolazioni del diritto sostanziale affermato, che è l’oggetto del processo. L’una mette a fuoco ciò che si domanda e l’altra il diritto sul cui fondamento si domanda; due angolazioni che si presuppongono a vicenda e si esprimono, in sintesi, nel diritto sostanziale affermato. Il diritto affermato, nel quale convergono il petitum e la causa pretendi, viene in rilievo come entità concreta, non come categoria astratta; come volontà concreta e non come volontà astratta di legge. Ed a quest’ultimo riguardo, ciò che individua il diritto come volontà concreta di legge non è la norma giuridica o volontà astratta di legge (la quale può costituire il presupposto o la base di quel diritto come di un’infinita serie di analoghi diritti) ma i fatti costitutivi del diritto. Appare evidente come la causa pretendi si risolva nel riferimento concreto a quel fatto o a quei fatti che sono affermati e allegati come costitutivi, e perciò anche individuatori, del diritto che si fa valere. Il mutamento della semplice qualificazione giuridica di quel fatto, o nomen iuris, può avvenire ad iniziativa del giudice, senza che ciò muti l’oggetto del precesso- il quale è determinato con l’individuazione dei fatti costitutivi- . Per quanto concerne poi, il contenuto del giudizio, estrinsecandosi quest’ultimo in due momenti, quali il giudizio di fatto e quello di diritto, è evidente come la domanda attorea vincoli il giudice con riguardo ad uno solo di questi momenti. La volontà astratta della legge, appunto per la sua astrattezza e generalità, non può costituire, per sè stessa, oggetto di esclusiva; lo stesso non può dirsi dell’indicazione e/o allegazione dei fatti costitutivi, che, appunto perché assolvono a questa funzione costitutiva o concretante della volontà di legge, vanno indicati o allegati nella loro individualità. Per quanto concerne il diritto, dovendosi negare ogni esclusiva dell’attore rispetto alle norme, si deve concludere che il giudice è libero di applicare le norme di diritto che meglio ritiene adattabili al caso concreto. Più esplicitamente il principio richiamato viene spesso enunciato col brocardo jura novit curia, ove il “conoscere” del giudice va inteso non nel senso letterale del conoscere, ma nel senso di “poter tenerne conto”, o poter applicare, anche al di fuori dell’iniziativa di parte; sicchè, insomma, il giudice è libero di scegliere la norma da applicare, indipendentemente dal fatto che sia stata o non sia stata invocata dalla parte interessata. Nel caso di specie, tra l’altro, nessuna violazione del contraddittorio è stata perpetrata, laddove il procedimento disciplinare è stato incardinato nel rispetto della normativa vigente- previo interrogatorio- attraverso deferimento, cui è seguito scambio di memorie, in cui le parti hanno potuto rappresentare le argomentazioni a sostegno delle reciproche pretese dinanzi a questo Collegio. L’atto di deferimento contiene la precisa indicazione del fatto contestato e comunque mai se ne potrebbe eccepire la nullità non prevista da alcuna norma. Parimenti infondata deve ritenersi la eccezione di incompetenza dell’organo adito. In proposito la difesa dell’atleta sostiene che la competenza del GUI vada circoscritta agli addebiti di cui agli artt.10.1-10.10 del Regolamento Antidoping; pertanto sarebbe da escludersi nel caso di specie poichè nessuna di queste norme regolamentari è stata contestata a Danilo di Luca, per il quale rileverebbe una disposizione di carattere generale, quale è il riferimento all’art.31 dello Statuto del CONI, nonché un principio di portata altrettanto generale quale quello di lealtà e correttezza, principio che informa l’ordinamento sportivo nel suo complesso, ma la cui violazione, non è idonea a costituire una infrazione della normativa antidoping tout court. Alla luce di tale argomentazione, la difesa dell’atleta ravviserebbe negli organi di giustizia della FCI la competenza a decidere il caso de quo. Questo Collegio ritiene di respingere tale eccezione, confermando la propria competenza per due ordini di ragioni. Con delibera della Giunta Nazionale del CONI, n. 292del 21 agosto 2007 sono entrate in vigore le nuove Norme Sportive Antidoping, il cui Art.13 espressamente qualifica il GUI organo di primo ed unico grado per i soggetti non tesserati alle FSN e DSA e per gli atleti di livello internazionale o nei casi di doping relativi a competizioni inquadrate in un evento sportivo internazionale. Al momento della entrata in vigore della nuova normativa erano pendenti diversi procedimenti disciplinari per fatti di doping, pertanto, con una norma di carattere transitorio si è espressamente stabilito che il vecchio regime continuasse ad operare per i procedimenti pendenti, mentre il nuovo avrebbe trovato applicazione per i procedimenti instaurati con provvedimenti di deferimento successivi al 27.08.2007. E’ evidente, infatti, che quando la nuova disciplina processuale riguarda l’intera struttura del giudizio, essa non possa trovare applicazione per i giudizi pendenti. Lo stesso TAS di Losanna, nel parere rilasciato al CONI in data 26.05.2005 confermava l’accesso e quindi l’operatività nell’ordinamento sportivo di principi di portata generale, quale, l’applicazione della legge sostanziale del tempo in cui è stato commesso il fatto (salvo che la legge successiva sia più mite). Per le leggi processuali vale il principio del “tempus regit actum”. Il provvedimento di deferimento dell’UPA dinanzi a questo Collegio è datato 21 settembre 2007, ed il Di Luca è atleta di livello internazionale; pertanto non vi sono dubbi sulla competenza del GUI nel presente procedimento, tanto più che ratione materiae, il GUI si pronuncia su deferimenti dell’organo inquirente – UPA- per l’accertamento della responsabilità di tesserati che abbiano posto in essere qualunque comportamento vietato dalle Norme Sportive Antidoping, considerate nella loro completezza, come corpus normativo, che in alcun caso può essere circoscritto ai soli addebiti di cui agli artt. 10.1-10.10. Questo Collegio respinge altresì la eccezione preliminare formulata dalla Procura circa la inammissibilità della memoria di replica depositata dal Di Luca in data 11.10.2007, essendo la stessa nei termini di cui all’art . 2 punto 1, comma c)delle Istruzioni Operative GUI. Nel merito al Di Luca viene contestata le frequentazione con il Dott. Santuccione, soggetto inibito dall’ordinamento sportivo con provvedimento del 13 maggio 1995; tale frequentazione, costituirebbe comportamento contrario alla normativa antidoping che vieta all’atleta tesserato presso la Federazione Ciclistica Italiana di avvalersi della consulenza o della prestazione di soggetti non tesserati alla Federazione Ciclistica Italiana inibiti dall’ordinamento sportivo. In occasione dell’interrogatorio tenutosi in data 17.07.2007, il Di Luca ammetteva di aver avuto rapporti con il Dott. Santuccione sin da bambino, di essersi rivolto a lui negli anni per problemi medico-sanitari di vario tipo, e di essere al corrente del fatto che il medico avesse subito un procedimento disciplinare per fatti di doping a seguito del quale era stato sospeso dall’attività federale per cinque anni. Il quadro normativo vigente all’epoca dei fatti contestati, nonché quello attuale, in materia di attività antidoping, propone una serie di disposizioni sulle quali è opportuno soffermarsi onde ricostruire la responsabilità disciplinare dell’atleta Danilo Di Luca. Dispone in proposito l’art. 16.4 del Regolamento dell’attività antidoping della F.C.I., in vigore nel 2004, che “è fatto obbligo all’atleta ed al personale di supporto di non avvalersi della consulenza o della prestazione di soggetti non tesserati alla Federazione Ciclistica Italiana inibiti dall’ordinamento sportivo, pena l’applicazione delle sanzioni di cui all’art.18.13”. Il successivo art. 18.13, a sua volta, prevede che “all’atleta e/o al personale di supporto dell’atleta che si avvalgano della consulenza o della prestazione di soggetti non tesserati inibiti dall’ordinamento sportivo a seguito della applicazione di quanto previsto dall’art.16.8 , è comminata la sospensione dell’attività rispettivamente svolta fino ad un massimo di sei mesi.” Le norme richiamate rispecchiano letteralmente gli art. 16.4 e 18.13 del Regolamento Antidoping adottato dal CONI nel 2004. Inoltre, l’art. 3.6 delle Istruzioni Operative U.P.A. recita “E’ fatto divieto all’atleta e al personale di supporto dell’atleta di avvalersi della consulenza o della prestazione di soggetti inibiti dall’ordinamento sportivo, pena la sospensione dall’attività svolta fino a un massimo di sei mesi. In caso di reiterazione, la sanzione è aumentata proporzionalmente fino ad un massimo di diciotto mesi”. La ratio di tali disposizioni va individuata nel disvalore che l’ordinamento sportivo attribuisce alle condotte di quegli atleti che facciano ricorso alle prestazioni di soggetti nei confronti dei quali lo stesso ordinamento ha già avuto modo di valutare- attraverso il provvedimento sanzionatorio- l’antigiuridicità del comportamento, sotto il profilo disciplinare. Lo status giuridico del Dott. Santuccione all’epoca dei fatti è quello di soggetto inibito dall’ordinamento sportivo per fatti di doping con provvedimento sanzionatorio di cinque anni di sospensione dallo svolgimento di ogni attività in sede federale (che rappresenta il massimo della pena), dal ricoprire cariche e dal rappresentare la società. La difesa produce scheda di tesseramento del Santuccione presso la F.C.I, datata 05.09.1997. Alla luce del provvedimento sanzionatorio che ha colpito il Dott. Santuccione in data 13.05.1995, l’atto di tesseramento del 1997 è nullo ed improduttivo di effetti nell’ordinamento sportivo, perché trattasi di atto richiesto da soggetto che non possedeva, a quell’epoca, i requisiti soggettivi per poter divenire soggetto di diritto sportivo. La necessità di identificare i soggetti che a vario titolo partecipano all’organizzazione dell’attività sportiva (siano essi gli atleti, i dirigenti, il personale di supporto), per verificare “il regolare e corretto svolgimento delle gare, delle competizioni e dei campionati”(art.2 Statuto CONI), nonché la necessità di regolamentare i rapporti giuridici tra di essi, hanno portato alla creazione di norme che disciplinano puntualmente l’accesso, la permanenza e l’uscita dalla organizzazione federale. E’ evidente che il provvedimento sanzionatorio che ha colpito il Dott. Santuccione, inibiva lo stesso dall’accedere a qualsiasi titolo all’interno della Federazione Ciclistica Italiana. Ad ogni buon conto il tesseramento è atto che ha validità annuale: ogni anno, infatti, va rinnovato in modo da consentire alla Federazione di appartenenza del singolo tesserato la verifica della permanenza o meno nell’associazione, sia ai fini del controllo della regolare posizione dal punto di vista amministrativo che riguardo al mantenimento dei requisiti oggettivi e soggettivi. Il dott. Santuccione, pertanto, fatta esclusione dell’anno 1997, per cui poteva vantare atto di tesseramento presso la FCI – peraltro nullo e/o inefficace- non risulta essere soggetto tesserato alla FCI all’epoca dei fatti. Il tesseramento presso la F.M.S.I, che la difesa produce in atti, non è rilevante ai fini dell’applicazione della norma incriminatrice. La frequentazione del Di Luca – intesa ovviamente nell’accezione di frequentazione medica – del Di Luca con il Dott. Santuccione, soggetto già inibito dall’ordinamento sportivo con il massimo provvedimento sanzionatorio per fatti di doping ( e non per un generico illecito disciplinare e/o deontologico), soggetto non tesserato per la Federazione ciclistica Italiana costituisce violazione della normativa antidoping vigente all’epoca dei fatti contestati. Per sua stessa ammissione il Di Luca afferma di aver interrotto la frequentazione col Dott. Santuccione soltanto nel 2004, mentre durante tutti gli anni precedenti- nonostante egli fosse a conoscenza che quel medico era stato sospeso per fatti di doping- l’atleta ha continuato ad avvalersi della consulenza di un soggetto, la cui frequentazione veniva punita dalla normativa antidoping, cui il Di Luca era ed è soggetto, in quanto atleta, peraltro professionista, peraltro di livello internazionale. Nell’introduzione del Codice WADA – che rappresenta la fonte primaria della normativa antidoping, cui gli atleti sono soggetti e che questo Collegio è tenuto ad applicare- si legge come “i programmi antidoping abbiano lo scopo di preservare i valori intrinseci dello sport. Tali valori sono spesso indicati come “spirito sportivo”; rappresentano la vera e propria essenza dello spirito olimpico; sono una esortazione a competere con lealtà. Lo spirito sportivo rappresenta la celebrazione dello spirito umano e si fonda sui seguenti valori: Etica, fair play ed onestà, salute, eccellenza della prestazione, carattere ed educazione, divertimento e gioia , lavoro di gruppo, dedizione ed impegno, rispetto delle regole e delle leggi, rispetto per se stessi e per gli altri concorrenti, coraggio, unione e solidarietà. Il doping è dunque per sua natura contrario allo spirito sportivo.” L’art.31 dello Statuto del CONI fa propri tali principi laddove impone agli atleti, quali soggetti dell’ordinamento sportivo il dovere di esercitare con lealtà sportiva le loro attività, osservando i principi, le norme e le consuetudini sportive. La condotta del Di Luca ha integrato gli estremi della violazione della normativa antidoping vigente al momento dei fatti contestati e tutt’ora vigente. Egli è venuto meno al contenuto precettivo di cui all’art.4 comma 8 del Codice Etico del ciclismo che impone ai corridori di avvalersi esclusivamente delle prestazioni del medico di squadra o di professionisti di elevata serietà….omissis. Il codice WADA, oltre a costituire fonte normativa di primo grado in materia, stabilisce anche la cogenza delle Norme Sportive antidoping complessivamente considerate laddove - sempre nel preambolo - espressamente statuisce che “Le norme sportive antidoping italiane adottate dal CONI, analogamente ai regolamenti di gara, sono le norme in cui si svolge l’attività sportiva. Gli affiliati, i tesserati ed i licenziati…(omissis) con la sottoscrizione del tesseramento sono tenuti ad accettare queste norme per partecipare alle attività sportive.” Nell’articolare la propria decisione, il GUI ha preso in esame ogni aspetto della condotta dell’atleta giungendo a riconoscere la responsabilità del Sig. Danilo Di Luca, per aver egli posto in essere un comportamento contrario a quanto previsto e disciplinato dalla normativa antidoping vigente all’epoca dei fatti contestati, e dalle Norme sportive antidoping attualmente in vigore (art.3.6 Istruzioni Operative UPA). Non possono trovare accoglimento, onde scagionare l’atleta dagli addebiti attribuitigli, i provvedimenti di archiviazione del GIP di Pescara, datati rispettivamente 3 luglio 2007 e 27 settembre 2007, trattandosi di procedimenti aventi ad oggetto capi di imputazione che non rilevano nel presente procedimento disciplinare. Il giudice penale non ha espresso il proprio sindacato sulla frequentazione del Di Luca con un soggetto –quale il Dott. Santuccione- colpito da provvedimento sanzionatorio di sospensione(rectius inibito), atteso che tale profilo non rileva ai fini della configurazione del reato ex art.9 della legge n. 376 /2000, o della frode sportiva. Mentre rileva sotto il profilo disciplinare, che è ciò per cui si è chiamati a decidere oggi. Illecito disciplinare ed illecito penale, infatti, pur presentando delle affinità, operano su piani distinti ed inconfondibili. Quanto detto trova fondamento nella diversa natura dei due procedimenti: mentre quello penale è manifestazione diretta della sovranità dello Stato e della sua pretesa punitiva sui consociati, al contrario, il procedimento disciplinare è espressione della autonomia riconosciuta dallo Stato all’ordinamento settoriale sportivo ed alla sua cognizione domestica (cfr., tra gli altri, in senso conforme, TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 15 gennaio 2003, n. 22). Tale concetto di autonomia, è contenuto, in nuce, nella introduzione delle norme sportive Antidoping laddove si prevede che “ le norme sportive antidoping non sono soggette ai requisiti e ai principi di diritto applicabili alle procedure penali o al diritto del lavoro. I procedimenti e i paramentri definiti dal Codice nascono dalle comuni esigenze delle parti che intendono garantire il fair play nello sport, dovrebbero essere osservati da tutti i tribunali e dagli organismi giudicanti”. Questo Collegio, inoltre, non risponderebbe ai propri compiti istituzionali, laddove, anche attraverso l’applicazione concreta di principi di portata generale, non cercasse di contribuire de iure condito, nonché de iure condendo, alla lotta al doping e alla diffusione dei valori etici e morali sottesi alla pratica di ogni attività sportiva. La frequentazione di un soggetto colpito da provvedimento sanzionatorio per fatti di doping, e quindi già inibito dall’ordinamento sportivo, è in re ipsa un comportamento contrario al principio di lealtà e correttezza; oltre a costituire il presupposto applicativo della sanzione prevista dalle norme richiamate, le quali attribuiscono all’organo giudicante una discrezionalità nell’applicazione della sanzione sino ad un massimo di sei mesi. P.Q.M. Il G.U.I, letti gli atti, visti gli artt.31 dello Statuto del CONI, 16.4 del Regolamento dell’Attività Antidoping del C.O.N.I., 16 e 18.13 del Regolamento dell’Attività Antidoping della F.C.I. e 3.6. delle Istruzioni Operative dell’U.P.A, afferma la responsabilità dell’atleta Danilo Di Luca in ordine all’addebito di cui al punto 1 dell’atto di deferimento, quale regolarmente contestatogli e, per l’effetto, gli infligge la sanzione della squalifica di mesi 3(tre) decorrente dalla data odierna. Riserva il deposito della motivazione in 30 giorni. Dispone la comunicazione del presente provvedimento alle parti, alle Federazioni, Nazionale ed Internazionale interessate, alla W.A.D.A. Roma, li 16 ottobre 2007 Firmato daIl Componente estensore Avv. Silvia Chiappalupi e dal Presidente Dott. Francesco Plotino
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